«Il lavoro è l’unica forma di libertà dell’uomo». Questo è lo slogan che campeggiava in Piazza Umberto I a Gela, dove si è raccolta la popolazione cittadina intorno ai lavoratori del petrolchimico e dell’indotto Eni, che da oltre 20 giorni protestano contro la paventata chiusura dello stabilimento. Il corteo, che ha attraversato le vie del centro storico, ha visto uniti nella comune lotta tutte le sigle sindacali.

Accanto ai lavoratori gelesi hanno sfilato i rappresentanti dei comuni limitrofi e di altri siti industriali: tra loro vi erano anche le tute blu di Siracusa. Nella piazza è stato allestito un palco dove hanno preso la parola alcuni esponenti delle istituzioni civili, regionali e nazionali: il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, il sindaco di Gela, Angelo Fasulo, il segretario generale Uiltec, Paolo Pirani, il segretario regionale della Cisl, Maurizio Bernava, la segretaria della Cgil, Susanna Camusso e infine il governatore della Regione Sicilia, Rosario Crocetta. Tutti gli intervenuti hanno chiamato il Gruppo Eni a rispettare gli impegni sottoscritti un anno fa circa l’investimento di 700 milioni di euro di per la riqualificazione della raffineria.

Il Vescovo di Piazza Armerina ha ceduto il microfono a un lavoratore per «dare consistenze alle parole» poiché, ha affermato «le mie parole non vengono da un’esperienza vissuta». Il sindaco Fasulo ha suscitato i fischi della piazza quando ha riproposto la vecchia e abusata retorica del sud contro nord: «Non accetteremo una scelta che non guarda alla Sicilia ma al nord». Nel rievocare le parole di Enrico Mattei «richiamate i vostri parenti e ritornate qui perché ci sarà lavoro», il segretario della Uiltec, Paolo Pirani, ha ribadito la necessità di investire in un’industria compatibile con il territorio: «Senza industria non c’è ricchezza».

Contro l’assistenzialismo e le clientele e a favore di un intervento deciso da parte del governo si è espresso il segretario regionale della Cisl, Maurizio Bernava. Sulla stessa linea si è schierata Susanna Camusso, che ha invitato il governo Renzi ad assumersi le proprie responsabilità di fronte ai lavoratori dell’industria: «Non siamo venuti a portare solidarietà. Il paese aspetta una riforma che difenda il lavoro, crei il lavoro, non l’assistenza. Il governo è l’azionista principale dell’Eni: rinunci ai dividendi e investa per il lavoro. Renzi deve venire a Gela per esercitare la sua funzione di azionista dell’Eni, non deve fare una visita di solidarietà».

A chiudere la manifestazione è stato un acclamato Rosario Crocetta, che ha dichiarato: «L’Eni non può giocare con questa città. Questa città ha una realtà industriale forte». Crocetta è stato il solo tra gli intervenuti a fare menzione della mafia «che lavorava bene con l’Eni» e dell’inquinamento prodotto dal petrolchimico nell’impianto del clorosoda, a causa del quale moltissimi operai hanno già perso la vita.

La manifestazione precede di un giorno lo sciopero nazionale dei lavoratori di tutte le aziende Eni: temono di perdere il posto per effetto delle scelte dell’azienda, rese note dall’ad, Claudio Descalzi, in materia di politica energetica. A Gela sono in 3000, tra dipendenti diretti e indotto, a rischio di licenziamento. Particolarmente agguerriti sono questi ultimi, che dai primi di luglio a oggi sono mobilitati in picchettaggi davanti al petrolchimico allo scopo di impedire l’ingresso a chi non aderisce.

Tra le maestranze si è diffuso ormai da giorni un sentimento strisciante di scoramento e disillusione, in particolar modo dopo la decisione del prefetto di Caltanissetta, Carmine Valente, di precettare una cinquantina di lavoratori per garantire i servizi di sicurezza nello stabilimento. «Ci stiamo spegnendo piano piano, siamo demoralizzati. Non parlano mai di noi. Quelli della Costa Concordia sono sotto la lente di ingrandimento dell’informazione», dichiara uno dei manifestanti. A nulla valgono le rassicurazioni di Descalzi, che parla di progetti di sviluppo eco-sostenibile con la produzione di bio carburanti.

I lavoratori del petrolchimico sono convinti che nelle intenzioni del gruppo, Gela diventerà un deposito costiero. Un lavoratore dell’indotto dichiara: «L’obiettivo è far diventare Gela deposito costiero, rimarranno una cinquantina di persone a lavorare e non si farà la bonifica. Vogliono chiudere gli impianti qui per investire in Mozambico, e laggiù c’è una minore attenzione alle norme in termini di sicurezza».
Non stupisce l’assenza dei No Muos dal corteo. Purtroppo il tema dell’ambiente e della sicurezza continua a restare disgiunto dal problema del lavoro. I dipendenti diretti e dell’indotto chiedono la rassicurazione perché 3000 famiglie possano continuare a sopravvivere grazie al petrolchimico.