Il mio amico Bill è una persona che sa fare un po’ di tutto, e sbarca il lunario aiutando tutti noi del vicinato con le mille piccole incombenze di queste case americane costruite negli anni ’20 e bisognose di continue manutenzioni. È un quarantenne afroamericano, sposato con una donna bianca e con tre figli. Parliamo di quello che è successo a Ferguson, della difficoltà di essere parte di una coppia mista e di tante altre cose. A un certo punto Bill mi dice che purtroppo non può votare. Non può farlo da molti anni ormai. Sono sorpreso, e gli chiedo se ha voglia di dirmi qualcosa di più. E così mi racconta questa incredibile storia.

Tutto iniziò sedici anni fa, quando venne al mondo la sua prima figlia, nata prematuramente e bisognosa quindi di un periodo di supporto medico in una struttura ospedaliera. «Era cosi piccolina che entrava nel palmo della mia mano…».

Bill e la sua compagna andarono a trovarla giorno per giorno, per mesi, fin quando un giorno finalmente poterono tornare tutt’e tre a casa. Ma insieme alla bimba c’era anche un foglio di carta dell’ospedale. Diceva che Bill doveva pagare le spese di questo lungo ricovero, ben settantacinquemila dollari, e doveva farlo subito. Ovviamente non aveva una cifra del genere e nemmeno poteva recuperarla in alcun modo, al tempo viveva con la sua compagna a casa dei genitori di lei e lavorava come e quando poteva. Provò a farlo presente all’amministrazione dell’ospedale ma non sentirono ragioni. Poco dopo fu convocato ufficialmente in un aula di tribunale, dove un giudice zelante gli disse che non solo doveva pagare subito il suo debito, ma che il suo comportamento irresponsabile lo metteva a rischio di essere condannato per non aver supportato le esigenze di sua figlia! Gli davano un paio di mesi di tempo, durante i quali il debito aumentava degli interessi, e poi sarebbe dovuto tornare in tribunale per essere sottoposto a un nuovo giudizio.

Disperato, Bill tentò qualsiasi strada per rimediare almeno parte dei soldi che l’ospedale esigeva. Ma non ci fu nulla da fare, e nella sua seconda convocazione in tribunale venne condannato sia per non aver pagato il conto ospedaliero che per aver negato il “Child Support” a sua figlia. Effetto della condanna, Bill non poteva più avere un lavoro regolare senza che la busta paga venisse direttamente consegnata all’amministrazione dell’ospedale. Ammesso poi che lo potesse trovare un lavoro, avendo una condanna penale in corso. Il passaporto era sospeso, cosi come il diritto di voto. Non solo. Da allora Bill deve trascorrere due mesi in prigione più o meno ogni anno e mezzo. Per sempre, o perlomeno finché non paga il debito, diventato ormai di proporzioni mostruose.

«Mi vengono a prendere senza preavviso. Bussano alla porta e io devo mollare tutto e seguirli in galera. Mi mettono le manette ai polsi davanti ai miei figli, mi sbattono in macchina a sirene spiegate e io sparisco per un paio di mesi. In prigione non posso portare assolutamente nulla di personale, nemmeno un giornale, un libro o un calzino. Mi spogliano di tutto, mi danno la divisa arancione e gli unici contatti che riesco ad avere con il mondo esterno sono tramite delle brevi e costosissime telefonate con mia moglie e qualche sua visita. I miei figli preferisco non vederli, non voglio che vengano in questo posto orribile…». Come se non bastasse, la situazione può aggravarsi in qualsiasi momento se Bill viene sorpreso a commettere qualsiasi illegalità, fosse anche solo una multa.

Ecco che il mio amico, colpevole di aver avuto una bimba nata prematuramente, non è più un cittadino libero. Non può lavorare se non in nero, non può votare, non può lasciare il paese, viene periodicamente incarcerato, e la situazione può peggiorare da un momento all’altro a discrezione del giudice di turno.

Da quindici anni a questa parte, Bill non è un cittadino americano a tutti gli effetti, ma un esempio vivente di una nuova categoria sociale, uno schiavo del nostro tempo, nato nel paese più ricco del mondo.

Gli chiedo se pensa che il colore della sua pelle abbia un ruolo in tutto questo. «Are you fuckin’ kidding? (stai scherzando vero?)», mi risponde. «Certo che sì! Fossi stato bianco una mediazione, una qualche soluzione che almeno mi evitasse la galera si sarebbe trovata, poco ma sicuro». Sì, è vero per Bill ed è vero anche per il ragazzo di Ferguson, che se fosse stato bianco non sarebbe stato fucilato sul posto per aver rubato una scatola di sigari.