Dal primo giorno di insediamento il presidente Joe Biden e la vice presidente Kamala Harris hanno dimostrato di voler fare sul serio se si tratta di clima. Biden ha firmato un ordine esecutivo per rientrare nell’Accordo di Parigi sul clima, ha revocato il permesso federale all’oleodotto Keystone Xl e ha avviato un percorso – inevitabilmente molto lungo – per invertire quattro anni di rollback ambientali sotto l’amministrazione Trump. Gli Stati uniti, quindi, rientreranno nell’Accordo il 19 febbraio, 107 giorni dopo esserne usciti. Biden, poi, ha nominato Gina McCarthy, esperta dell’Agenzia di Protezione Ambientale (Epa) dell’epoca Obama, per guidare la politica climatica interna, e John Kerry, l’ex segretario di stato, per servire come inviato per il clima.

Finora, l’azione di Biden sul clima è in linea con la sua promessa: che la crisi climatica sarebbe stata una priorità, insieme al razzismo sistemico e la pandemia. Tanto che, secondo alcuni commentatori, Biden potrebbe diventare The Climate President. Sul sito della Casa Bianca, per la prima volta da quattro anni, il clima compare tra le priorità immediate del governo.

È vero, l’azione di Biden sull’ambiente è ancora lontana da quello che gli attivisti vorrebbero e che la lobby fossile teme: un divieto federale sul fracking. E la nomina di Tom Vilsack, «Mr Monsanto», a capo del dipartimento dell’Agricoltura, preoccupa.

TUTTAVIA, NON SI PUÒ NEGARE: il piano Biden-Harris sul clima è ambizioso. Come presidente, Biden assicura che gli Stati uniti raggiungeranno un’economia al 100% di energia pulita ed emissioni zero nette non più tardi del 2050. La linea politica sarà quella di investire in energia pulita e ricerca scientifica e di incentivare la diffusione di innovazioni energetiche sul clima, soprattutto nelle comunità più colpite. Un’attenzione particolare, infatti, verrà data alle comunità sproporzionatamente colpite dall’inquinamento e dall’emergenza climatica, le comunità più a basso reddito e di colore.

Il piano Biden-Harris seguirà, così, una traiettoria che interseca emergenza climatica e razzismo strutturale e che inquadra la crisi climatica come un problema di giustizia sociale oltre che ambientale. Secondo quanto annunciato, il piano non solo assicurerà che le comunità di tutto il paese, e in particolare quelle più vulnerabili come Flint nel Michigan, abbiano accesso ad acqua potabile pulita e sicura, ma farà in modo che soluzioni climatiche siano il risultato di un processo inclusivo e guidato, in primis, dalle comunità.

UNA SVOLTA DRASTICA, SE alle parole di Biden seguiranno i fatti, sarà quella di una ferma opposizione all’abuso di potere degli inquinatori – i Big polluters. L’amministrazione agirà contro le compagnie di combustibili fossili e altri inquinatori che «mettono il profitto al di sopra della persone» e che «consapevolmente danneggiano il nostro ambiente» avvelenando aria, acqua e terra e nascondendo informazioni sui potenziali rischi ambientali e sanitari delle loro azioni. Il piano dichiara che Biden for President, la campagna del neo presidente, non accetterà contributi dalle corporazioni o dai dirigenti di petrolio, gas e carbone. La settimana scorsa, l’amministrazione Biden ha imposto una sospensione di 60 giorni su nuovi permessi d’estrazione di petrolio e gas sulle terre federali.

LA PROPOSTA DI BIDEN per il clima e la giustizia ambientale sarà supportata da un investimento federale di 1,7 trilioni di dollari nei prossimi dieci anni, facendo leva su ulteriori investimenti privati, statali e locali per un totale di più di 5 trilioni di dollari. Il piano di Biden sarà pagato, in parte, invertendo i tagli fiscali di Trump per le aziende, riducendo gli incentivi per i paradisi fiscali e, tra le altre cose, mettendo fine ai sussidi per i fossili.
I sussidi vengono menzionati più volte: il piano dichiara di «esigere» un divieto mondiale sui sussidi ai combustibili fossili evidenziando che «semplicemente, non c’è nessuna scusa per sovvenzionare i combustibili fossili, sia negli Stati Uniti che in tutto il mondo».
SUL PIANO GLOBALE, inoltre, Biden e Harris hanno annunciato di voler convocare un vertice mondiale sul clima che dovrebbe tenersi il 22 aprile, Giornata della Terra 2021. Ci sarebbe anche l’intenzione di accogliere l’emendamento di Kigali al Protocollo di Montreal che attiverebbe una riduzione degli idrofluorocarburi, un gas serra potente, e di avviare accordi bilaterali tra Stati Uniti e Cina sulla mitigazione del carbonio. Tra gli altri impegni, Biden annuncia di voler re-aderire al «Green Climate Fund» da cui Trump, come per l’Accordo di Parigi, escluse gli Stati Uniti.

È QUASI SURREALE riconoscerlo, eppure, forse, ciò che colpisce di più del piano Biden-Harris per il clima è che dichiara apertamente di basarsi sulla scienza, mettendo i fatti avanti a tutto. Sul sito di Biden vengono esposti, con chiarezza, non solo i fatti della scienza e, quindi, una spiegazione scientifica dell’Ipcc sul riscaldamento globale, ma anche gli impatti del cambiamento climatico secondo la Nasa. Questo non dovrebbe far effetto, ma l’amministrazione Trump ha trascinato il discorso pubblico sulla crisi climatica talmente in basso, mentendo, disinformando, alimentando un negazionismo sistemico e agevolando l’interferenza delle lobby fossili, che ritrovare la scienza al primo posto è un sollievo.

La crisi climatica è già qui ed è un problema. Deve essere una priorità. C’è moltissimo ancora da fare. Ma se quello che Biden e Harris hanno promesso di fare per il clima si tramuterà in azione potremmo essere sulla buona strada per un’azione globale sulla crisi climatica guidata, (come sempre sarebbe dovuto essere) dalla politica, oltre che (com’è stato finora) dai giovani e dagli attivisti.