Prima che fosse eletto presidente degli Stati Uniti, aveva dichiarato al sito CiberCuba che, una volta alla Casa Bianca, avrebbe eliminato le sanzioni imposte da Trump, il cui solo risultato è stato quello “di aver inflitto sofferenza al popolo cubano senza aver ottenuto nulla per far avanzare la democrazia e i diritti umani”. A Cuba, l’elezione di Biden era stata dunque salutata con sollievo e speranza, sia dal governo cubano sia da chi in questi giorni contesta il governo cubano nelle piazze. La sua elezione era il segno di una svolta, anche per chi a Cuba non aveva mai sentito parlare di lui ma aveva sentito parlare e agire per quattro anni Donald Trump, contro l’isola con cinica durezza.

Sotto la sua presidenza, sono state aggiunte 243 ulteriori misure restrittive all’embargo in vigore contro Cuba dal 1962, 50 delle quali imposte durante la pandemia di Covid. Il cambio alla guida degli Usa, da solo, bastava a far immaginare l’inizio di una nuova era per Cuba. Dopo sei mesi alla Casa Bianca i cubani stanno ancora aspettando che il presidente democratico dia seguito alla sue promesse elettorali, eliminando almeno parte delle misure decise da Trump. Parliamo dei cubani che vivono nell’isola, non di quelli che vivono a Miami o a New York, perché, loro, proprio questo s’aspettano da Biden: che faccia esattamente come il suo predecessore, continui sulla strada dell’embargo duro, anzi ancora più duro. Con il calcolo che un’ulteriore stretta intorno all’isola possa portare alla caduta definitiva della leadership cubana.

Che un simile calcolo possa invece portare a un bagno di sangue, questo i cubani di Miami, della California, del New Jersey, di New York lo sanno benissimo, ma a loro non importa niente, perché, per loro, Cuba è un vessillo ideologico non è la realtà quotidiana in cui vive chi vi risiede. Lo sa ancora meglio Joe Biden, sa che l’avvitamento della crisi può finire nel sangue. Lo sa il consiglio per la sicurezza nazionale. Il dipartimento di stato. Il Pentagono. Lo sanno benissimo il democratico Bob Menendez, i repubblicani Marco Rubio e Ted Cruz, i senatori più in vista e più vocali dei latinos e in particolare dei cubano-americani. Lo sanno i democratici della Florida che considerano la situazione a Cuba una “golden opportunity”, un’occasione d’oro per rovesciare il «regime».

Biden sembra incapace di fronteggiare una situazione di per sé difficile, che i suoi strateghi considerano peraltro insidiosa per le ripercussioni che essa potrà avere sulla politica interna in vista delle importanti elezioni di medio termine del prossimo anno. L’amministrazione teme i «falchi» che sempre hanno dettato la linea anti-Cuba e che adesso si sono fatti ancor più determinati.

Nei prossimi giorni, tuttavia, si capirà se si va verso un aggravamento della crisi che essi auspicano o se, viceversa, si va verso un allentamento della tensione nell’isola e nelle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. In questo secondo caso, se ci saranno segnali positivi nella direzione di una distensione, per quanto relativa, sarà anche perché in queste ore la diplomazia è all’opera sotto traccia tra Washington e l’Avana, anche con la triangolazione via Messico. In questo senso andrebbe preso come un segno addirittura positivo il fatto stesso che Biden non abbia inasprito le misure anti-cubane dopo l’arresto di un centinaio di manifestanti e la morte di uno di loro. In questo senso va anche il suo annuncio di voler fornire vaccini alla popolazione cubana, purché poi distribuiti e somministrati da organizzazioni sanitarie internazionali. Concessione peraltro ridicola, considerando che Cuba – unico paese latinoamericano – ha sviluppato un suo vaccino anti-Covid ma scarseggia di siringhe e materiale sanitario, per via dell’embargo, per poterlo distribuire adeguatamente. Ciò nonostante è stato vaccinato il 27% della popolazione, almeno con una dose.

Il timore della Casa Bianca, di perdere seggi cruciali negli Stati dove la questione cubana è giocata politicamente dalla destra, e dunque di perdere la maggioranza alla Camera, deve però fare i conti con una presenza ormai forte, nel Partito democratico, di un’ala di sinistra che interviene con decisione sulla politica internazionale, dal Medio Oriente a Cuba, nelle quali un tempo, non lontano, vigeva un consensus quasi indiscutibile. Oggi le voci di Bernie Sanders e di Alexandria Ocasio-Cortez, la netta presa di posizione di Black Lives Matter contro l’embargo trovano eco anche nelle aree del mainstream del Partito democratico.

Lo scorso marzo ottanta deputati scrissero una lettera a Biden in cui gli chiedevano di assumere una approccio «più costruttivo» verso Cuba «tornando immediatamente alla politica dell’amministrazione Obama-Biden di impegno e normalizzazione delle relazioni». Avesse risposto a queste sollecitazioni, Biden ora non sarebbe ostaggio dei trumpisti, una condizione che neppure ha il vantaggio di evitargli il rischio di perdere terreno a loro vantaggio. Proprio dando loro ragione, nei fatti, renderà più forti i candidati della destra.