«Alla nostra destra c’è soltanto la parete»: così ebbe a dire Franz Josef Strauss, storico leader della Christlich-Soziale Union dagli anni Sessanta agli Ottanta. Non mentiva: è sempre parso evidente che il partito-stato della Baviera, quella Csu che dal dopoguerra amministra il ricco Land della Germania meridionale, fosse una forza collocata, per ideologia e pratica di governo, su posizioni molto più conservatrici della sorella maggiore Cdu. Non a caso, quando Strauss nel 1980 fu nominato candidato cancelliere dell’area democristiana, la mobilitazione che ne impedì la vittoria fu eccezionale: piuttosto che ritrovarsi il reazionario bavarese, pesino settori della sinistra più radicale si attivarono in favore del socialdemocratico Helmut Schmidt, che era pur sempre un cancelliere «d’ordine». E una simile reazione di rigetto, molti anni dopo, la provocò Helmut Stoiber, delfino di Strauss e sfidante di Gerhard Schröder nel 2002.
Che la Csu sia decisamente a destra, quindi, è la scoperta dell’acqua calda. Ciononostante, le sue recenti prese di posizione sull’immigrazione sono un salto di qualità che non si deve sottovalutare. Malgrado le polemiche, i conservatori bavaresi hanno confermato di voler lanciare una campagna incentrata sull’espulsione dello straniero comunitario che «compia irregolarità nei rapporti con l’amministrazione pubblica». Tradotto: romeni e bulgari in arrivo, grazie alla libera circolazione in vigore dal 1 gennaio, sono tutti potenziali parassiti che, con la frode, vogliono mangiare alla greppia dello stato sociale tedesco. In Germania – questo il messaggio – non sono benvenuti. Facendosi beffe della Willkommenskultur, la «cultura dell’accoglienza» della propaganda ufficiale, la Csu dice: è benvenuto solo chi decidiamo noi. Ad esempio, le migliaia di figure altamente qualificate reclutate dall’industria tedesca in Europa meridionale, dove la disoccupazione giovanile picchia duro e dipende in buona misura dal deragliamento di un modello di «sviluppo» sbagliato cui ha fatto seguito la terapia shock dell’austerità: e sia nel primo che nel secondo atto della catastrofe della «periferia» europea, la politica delle classi dirigenti teutoniche (economiche e politiche) c’entra molto.

Il governo di Angela Merkel non assume le idee della Csu perché gli equilibri della grosse Koalition lo impediscono: i socialdemocratici, che già hanno rinunciato a chiedere una diversa gestione della crisi in Europa, non potrebbero ingoiare una svolta populista sulla libera circolazione nell’Ue. Tuttavia, anche se i desiderata dei bavaresi non si tradurranno in realtà, il segnale è inequivocabile: in Germania comincia a essere moneta corrente il populismo anti-migranti. Non migranti «qualsiasi», ma europei orientali, cittadini dei Paesi «zone d’influenza» dell’economia tedesca e a cui si prospettavano, alla caduta del socialismo reale e all’ingresso nell’Ue, magnifiche sorti e progressive.

Si potrebbe minimizzare: in fondo, già i gollisti francesi del non rimpianto Sarkozy avevano sdoganato posizioni simili. E in giro per il Vecchio continente sono in tanti a sostenere tesi peggiori. Vero, ma se la peste dell’intolleranza attecchisce fra le classi dirigenti della Germania, la cosa si fa drammatica. Sino ad ora, infatti, anche le élite conservatrici avevano rispettato quell’obbligo di «riscatto morale» imposto dalla memoria dello sterminio degli ebrei e dei rom d’Europa, che faceva sì che la Repubblica federale si fosse auto-imposta – scrivendolo in Costituzione – l’accoglienza del bisognoso.

Un dovere di attenzione a chi soffre che è già smentito dalla politica di austerità, ma pur sempre entro forme e codici discorsivi che si fondano su un’idea di scambio fra «aiuti e controprestazioni», in nome della «salvezza comune». Ora, invece, siamo alla rottura di un tabù anche linguistico («chi imbroglia, vola via»), a una «novità» che evoca il peggior passato del più grande e potente Paese d’Europa. Si riconosce il profilo sinistro di una disparità di trattamento sulla base dell’origine nazionale: il disoccupato tedesco ha diritto ai sussidi (bassi), mentre il disoccupato straniero che vive in Germania deve avere un trattamento differenziato. Trattamento che può giungere fino ad una espulsione che ripristini la «salute» del corpo di un Volk che si vuole immunizzare da infezioni.