Un team congiunto delle università dell’Illinois e della California ha sviluppato una varietà di tabacco geneticamente modificata che può essere coltivata anche in condizioni di scarsità di acqua. Per ottenere questo risultato, i biotecnologi sono intervenuti sui geni che regolano la fotosintesi delle piante, migliorando l’efficienza del loro ciclo biologico. Le varietà sviluppate in questo modo sono in grado di utilizzare fino al 25% di acqua in meno, a parità di anidride carbonica assorbita (la materia prima della fotosintesi). Dato che il meccanismo è presente in tutte le specie vegetali, gli scienziati si aspettano che lo stesso miglioramento possa ottenersi in altre coltivazioni. Sarebbe un’ottima notizia per gli agricoltori dei paesi in cui l’acqua scarseggia, un problema sempre maggiore soprattutto con l’avanzare dei mutamenti climatici e dell’aumento della popolazione.

OGGI, INFATTI, l’agricoltura utilizza il 90% dell’acqua consumata a livello globale. A causa della crescita della popolazione, si prevede che la produzione agricola debba raddoppiare entro il 2050, in assenza di una radicale redistribuzione delle risorse. La scarsità d’acqua potrebbe essere uno degli ostacoli principali da superare. Il problema è particolarmente grave perché le aree a rischio di desertificazione, concentrate soprattutto in Asia meridionale e Africa, sono anche quelle in cui l’agricoltura è l’attività economica principale e in cui la popolazione aumenta più velocemente.
Il gruppo di ricerca dell’università dell’Illinois guidato da Stephen Long ha lavorato su una proteina denominata PsbS. La proteina è in grado di chiudere gli stomi, i pori presenti sulle foglie, da cui le piante assorbono anidride carbonica ed espellono vapore acqueo. I pori si aprono e chiudono in risposta a un complesso sistema di segnali biochimici che rispondono alle variazioni di luce, di umidità e di anidride carbonica nell’aria. Dilatando gli stomi, le piante assorbono una maggior quantità di anidride carbonica ma perdono gran parte dell’acqua, che deve essere ripristinata attraverso l’irrigazione. Negli ultimi settanta anni, a causa dello sfruttamento dei combustibili fossili, l’anidride carbonica disponibile è aumentata del 25%. Le piante però non si sono evolute con altrettanta velocità e continuano a «respirare» con la stessa intensità di prima. La modifica genetica introdotta dai biotecnologi permette di chiudere gli stomi, limitando la perdita d’acqua e, allo stesso tempo, mantenendo l’anidride carbonica necessaria alla fotosintesi. «Abbiamo dato una mano all’evoluzione», dice Long.

LA SCOPERTA SCIENTIFICA è il risultato di un progetto di ricerca iniziato nel 2012 e denominato «Ripe», sigla dell’inglese Realizing Increased Photosynthetic Efficiency (in italiano, Aumentare l’efficienza della fotosintesi). Il progetto è finanziato in gran parte dalla Fondazione «Melinda e Bill Gates», l’ente no-profit in cui l’ex-fondatore della Microsoft e sua moglie stanno investendo i redditi accumulati negli anni grazie al software. La Fondazione ha una dotazione di circa 40 miliardi di dollari e finanzia progetti nell’educazione, nella ricerca medica e nello sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo. Negli investimenti alla cooperazione internazionale supera paesi come la Germania. In molti campi trascurati dagli interessi commerciali, come la lotta alla malaria, la Fondazione Gates rappresenta una delle principali fonti di finanziamento per i ricercatori. Solo per «Ripe», i coniugi Gates hanno impegnato ben 25 milioni di dollari.
Come sempre quando si parla di biotecnologie, l’impatto dell’innovazione dipenderà strettamente dalla possibilità da parte degli agricoltori del sud del mondo di utilizzarla. Le sementi delle varietà OGM più diffuse, infatti, sono monopolizzate da poche grandi aziende (Bayer, Monsanto, Syngenta, Dow-Dupont, Basf) che, grazie ai brevetti, impongono agli agricoltori di ricomprare i semi e i pesticidi che li accompagnano. In questo caso, almeno secondo la comunicazione ufficiale della Gates Foundation, le cose dovrebbero andare in modo diverso. Infatti, chi beneficia di un finanziamento della fondazione Gates si impegna a sottoscrivere un impegno denominato pomposamente Accesso globale, secondo cui «la conoscenza e l’informazione generata dai nostri progetti sarà rapidamente e estesamente disseminata e le innovazioni saranno rese disponibili ad un prezzo accessibile alle persone che ne hanno più bisogno».

NIENTE BREVETTI, dunque? Sarebbe una notizia, per un’idea partorita da Bill Gates. Il magnate dell’informatica, infatti, è stato uno dei più potenti fautori a livello mondiale di un regime restrittivo in materia di proprietà intellettuale, cioè brevetti e copyright. Nonostante la Microsoft abbia mosso i primi passi negli anni ‘70 copiando le idee che circolavano liberamente nella nascente comunità degli sviluppatori di software, una volta raggiunto il successo Gates si è battuto attraverso la Business Software Alliance (la lobby che difende gli interessi delle società informatiche statunitensi) affinché la guerra alla pirateria fosse combattuta in tutto il mondo. Quello sforzo fu coronato nel 1994 dagli accordi denominati «Trips» dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. I «Trips» impegnavano i paesi membri a riconoscere brevetti e copyright secondo gli standard occidentali, e riguardava anche farmaci, biotecnologie e software.
Infatti, il brevetto c’è: la modifica che fa risparmiare acqua è già stata brevettata a livello internazionale dalle università dell’Illinois e della California. L’«Accesso Globale», secondo la Fondazione Gates, non esclude affatto l’uso dei brevetti, anzi: come spesso ha affermato Bill Gates, sono ritenuti indispensabili affinché un’impresa possa tradurre una scoperta scientifica in un prodotto disponibile su larga scala tutelata dal monopolio. L’unica clausola richiesta dall’«Accesso Globale» ai partner commerciali è che «se il prodotto realizzato grazie alla Fondazione può essere venduto a scopo di lucro nel mondo sviluppato, esso deve essere reso disponibile alle persone che ne hanno più bisogno». Cosa significhi «rendere disponibile» non è però specificato, in nome di una «flessibilità di approccio» che prevede condizioni diverse in ciascuna occasione.

LA STRATEGIA della Gates Foundation non è irragionevole: vista la concentrazione del mercato delle biotecnologie in così poche mani, affidarsi a qualche grande azienda per la diffusione di un prodotto è forse una strada obbligata. Tuttavia, è una dimostrazione pratica di come le iniziative filantropiche non scalfiscono gli equilibri economici che sono alla base dei mali che si intende curare. Anche quando l’impegno economico non manca.
Linsey McGoey, ricercatrice all’università dell’Essex, nel 2015 ha dedicato alla Fondazione un saggio assai critico, intitolato No such thing as a free gift. La Fondazione Gates e il prezzo della filantropia (edito da Verso). McGoey ricostruisce i link tra la Fondazione e aziende come Goldman Sachs, Nestlé e la stessa Monsanto, di cui nel 2010 acquisì azioni per circa 23 milioni di dollari. La Monsanto è una delle principali aziende produttrici di sementi geneticamente modificate e brevettate, che gli agricoltori devono ricomprare ogni anno. Un approccio opposto ai principi dell’Accesso Globale. Il legame tra Gates e Monsanto non è solo finanziario. La Fondazione, ad esempio, ha finanziato il progetto «Water Efficient Maize for Africa» («Mais a basso consumo idrico per l’Africa») della Monsanto, per sviluppare sementi Ogm resistenti alla siccità. I semi sarebbero stati venduti senza pagare royalties, per favorire l’accesso da parte dei piccoli agricoltori. Ma secondo molti osservatori, come il magnate Warren Buffett che pure ha investito molti miliardi nella Gates Foundation, la collaborazione con la Monsanto in realtà mira a introdurre in Africa un modello di agricoltura industriale che ricalca quello statunitense. Il sospetto del conflitto di interesse ha portato la Gates Foundation a liberarsi delle quote della Monsanto pochi anni dopo l’acquisto. La passione per i brevetti biotecnologici però non si è esaurita. Il brevetto più «caldo» del momento riguarda Crispr, la biotecnologia che sta rivoluzionando l’ingegneria genetica. Lo detiene la Editas, dopo una dura battaglia legale. E tra i primi finanziatori della Editas c’è proprio la Fondazione Gates.