A fine gennaio la casa editrice olandese Ambo Anthos ha deciso di interrompere la diffusione di un libro, The Betrayal of Anne Frank, arrivato in libreria all’inizio dell’anno in diversi paesi, fra cui l’Italia, dove il volume è uscito per HarperCollins con il titolo Chi ha tradito Anne Frank. L’annuncio è stato dato da Tanja Hendricks, proprietaria e direttrice di Ambo Anthos, in un’email all’autrice, la saggista e poetessa canadese Rosemary Sullivan, e ai co-autori, il filmmaker Thijs Bayens e il giornalista Pieter van Twisk, affiancati da un gruppo di una ventina di persone di cui fanno parte storici e criminologi e che è guidato da Vince Pankoke, un ex investigatore dell’Fbi. In sostanza, ha scritto Hendricks, non si stamperanno nuove copie del libro finché nuove ricerche non arriveranno a sostegno della tesi di Sullivan e degli altri autori – che cioè a tradire Anna Frank e la sua famiglia sia stato un notaio ebreo, Arnold van der Bergh, in possesso di una lista degli ebrei nascosti nella Amsterdam occupata dai nazisti.

Lodato dalla critica («è vibrante di storia viva, calore, indignazione» ha scritto sul New York Times Alexandra Jacobs, precisando che le argomentazioni degli investigatori sono «convincenti, anche se non definitive»), il testo è stato attaccato con durezza dalla fondazione creata dal padre di Anna Frank e che porta il suo nome. Per John Goldsmith, presidente appunto della fondazione, il libro «non solo non contribuisce a scoprire la verità, ma porta confusione e inoltre è pieno di errori».
Impossibile pronunciarsi in una questione così sofferta e complessa (del resto, il Diario di Anna Frank è già stato, per la sua natura incandescente, al centro di controversie editoriali), ma colpisce che ancora una volta una casa editrice, in seguito alle critiche ricevute, scelga di bloccare un libro già edito: scarsi controlli iniziali o ripensamenti tardivi? La decisione comunque deve essere stata presa repentinamente, almeno stando agli autori che di fronte all’email di Hendricks si sono dichiarati «stupefatti»: «Abbiamo avuto una riunione la settimana scorsa con i redattori di Ambo Anthos nella quale abbiamo parlato delle critiche e di come pensavamo si potessero respingere, concordando alla fine che avremmo fornito una dichiarazione dettagliata».

Non sempre gli editori si muovono con questa rapidità. Prendiamo il caso (in effetti assai diverso) di Some Kids I Taught and What They Taught Me, un memoir in cui la poetessa scozzese Kate Clanchy racconta la sua trentennale esperienza di insegnamento con ragazzini provenienti da famiglie povere e da contesti svantaggiati. Qui il libro ha fatto in tempo a riscuotere un notevole successo di critica (ha vinto tra l’altro l’Orwell Prize), ma gli apprezzamenti, sostenuti anche dagli ex studenti di Clanchy, non sono bastati a convincere Picador della bontà di un titolo che la casa editrice aveva pur sempre scelto e pubblicato. Un attacco durissimo sui social ad alcune frasi del libro considerate offensive (qui ne citiamo una sola: «gli occhi a mandorla» di una ragazzina di origine orientale che peraltro ha dichiarato di non essersi affatto sentita offesa) ha indotto l’editore a tirarsi indietro.

Di recente, però, una sigla indipendente, Swift Press, nata nell’estate del 2020, si è dichiarata pronta a pubblicare il libro in una nuova edizione: ma, come riferisce Alison Flood sul Guardian, «la nuova versione elimina le parole e le frasi che avevano suscitato critiche da parte dei lettori e contiene una postfazione di Clanchy» in cui l’autrice scrive fra l’altro di essere convinta che questo suo «testo travagliato e difettoso valga la pena di essere letto». Si può parlare di lieto fine?