Con il passare dei giorni possiamo ben vedere come l’invisibile e imprevedibile virus possa mettere sotto scacco l’officina del mondo, uno dei paesi tecnologicamente più avanzati e con la più grande capacità di organizzazione militare del lavoro per contrastare le emergenze.

Sembrava il solito allarme, servito in passato a riempire le tasche dell’industria del vaccino, ma questa volta siamo di fronte a una progressione di tipo epidemico. Un confronto storico con la famosa influenza spagnola che colpì 500 milioni di persone nel 1918-20, pari a circa il 20% della popolazione mondiale di allora, ci dice che ebbe la stessa progressione iniziale. Ciò non toglie che oggi possa essere fermata, anche tenendo conto della risposta cinese, come è stato raccontato da Capocci su questo giornale, “la più grande quarantena della storia”.

Quello che sta succedendo è un evento che apre grandi possibilità di nuovo business nel campo della guerra batteriologica, sia come ricerca di nuovi virus esiziali, sia come strumenti per individuare e contrastare i virus che possono entrare nel proprio territorio. E’ l’altra faccia della guerra che si gioca sull’etere con gli hackers che provano a colpire i punti nevralgici delle nostre società ormai totalmente dipendenti dai sistemi computerizzati.

Anche se entrambi i virus, quelli animali e quelli digitali, mettono in crisi l’economia mondiale e la crescita dei flussi di merci, ci sono delle differenze. Per quanto la guerra digitale possa bloccare quasi tutte le attività economiche e la vita quotidiana, non genera lo stesso panico tra la popolazione della guerra batteriologica. Inoltre, mentre dagli attacchi informatici ci possiamo difendere con le blockchain, dall’attacco di virus sconosciuti non abbiamo ancora disponibili protezioni simili.

In sostanza, qualunque sia l’origine che abbia scatenato il corona-virus, quello che conta è che si può mettere gravemente in crisi l’economia e il potere politico di un grande paese. Nel caso in esame del corona-virus, è più che probabile che colpisca pesantemente l’economia cinese interrompendo la corsa che dura da trent’anni, portando il “paese di mezzo” dentro una crisi pesante e imprevedibile che peserà su tutta l’economia mondiale, dato che la crescita cinese rappresenta più di un terzo della crescita del Pil a livello planetario.

Se si ferma la Cina, o solo se rallenta seriamente allora tutto il commercio mondiale, il turismo, i flussi di beni e servizi ne risentono decisamente. Se è corretta questa analisi allora non si spiega il cosiddetto “ottimismo dei mercati finanziari”. O forse si spiega perché il panico potrebbe portare ad un crollo delle Borse peggiore del 2008. Meglio far finta, sperare, e scommettere sulle magnifiche e progressive sorti di questo modo di produzione globalizzato. La crescita infinita dell’economia cinese sembra essere arrivata al capolinea. Ma il governo cinese non se lo può permettere, il suo consenso è legato a tassi di aumento del Pil che nessun paese al mondo ha mai fatto registrare per trent’anni.

Il fatto che diverse imprese multinazionali abbiano chiuso impianti e punti vendita, che i collegamenti con la Cina siano in buona parte interrotti, che l’import-export di molti beni è stato congelato, avrà per quest’anno un impatto pesante sull’economia cinese che al confronto i dazi di Trump fanno ridere.

Tra dazi minacciati e/o attuati, tra Brexit e guerre medio-orientali, fino ad arrivare al panico del corona-virus tutto concorre a de-globalizzare l’economia-mondo capitalistica. Il che da una parte può essere un bene per una maggiore centralità dei mercati locali, dall’altra può portare a pericolose tensioni neo-protezionistiche che in passato posero le basi per nuove guerre.

Il movimento No Global di Porto Alegre non a caso si trasformò in movimento New Global, ponendo il tema di una nuova globalizzazione –dei diritti umani, sociali, ambientali- e non di un ritorno alle chiusure nazionalistiche. Purtroppo, abbiamo lasciato alla Destra neo-fascista di impadronirsi della critica alla globalizzazione e ne stiamo subendo tuttora l’egemonia culturale.

Con il pretesto del corona virus, assistiamo ad una campagna anticinese sui mass media che può evocare il “pericolo giallo” . Anche se è impopolare bisognerebbe pensare a forme di solidarietà concreta con i cinesi che vivono in Italia e che subiscono questa caccia all’untore.

Turisti cinesi e italiani di origine cinese, o semplicemente persone con tratti asiatici, si trovano ad essere oggetto di discriminazione, quando non di insulti e minacce. C’è un problema di ignoranza, di cattiva informazione, che non fa onore al nostro paese che una volta era famoso del mondo per la sua gentilezza, l’accoglienza dello straniero, la tolleranza.