Mara Castilla aveva 19 anni, studiava scienze politiche e viveva a Puebla, città industriale del centro-sud messicano. Era uscita con gli amici la sera del 7 settembre e verso le 5 del mattino aveva chiamato un «taxi sicuro» con la app Cabify per farsi riportare a casa. Ma a casa Mara non ci è mai arrivata.

UNA VOLTA A DESTINAZIONE, l’autista dapprima ha tenuto Mara prigioniera nell’auto per 20 minuti e poi l’ha sequestrata, violentata e strangolata in una camera d’albergo. Per una settimana non s’è saputo nulla di lei e si credeva a un caso di sparizione forzata, ma il 15 settembre il suo corpo, avvolto in un lenzuolo dell’hotel, è stato ritrovato ai bordi della statale Puebla-Tlaxcala, come reso noto dal governatore Tony Gali.

Il pm di Puebla Víctor Carrancá ha annunciato l’arresto del presunto responsabile, Ricardo Alexis N., che sarà accusato formalmente di femminicidio, cioè dell’assassinio di una donna per motivi di genere, per il fatto di essere donna.

MA CIÒ NON È BASTATO a calmare la situazione. «Mara è stata uccisa perché non c’è stato nessuno che la trovasse prima, non c’è stata un’azione d’intelligence per cercarla, non sono bastati i social, l’allerta ufficiale per la sparizione e le ricerche della famiglia», dice la giornalista di SDP Noticias e femminista Frida Gómez per denunciare l’inettitudine dell’autorità. Infatti solo nella regione di Puebla quest’anno ci sono stati 83 femminicidi.

Proprio la sera del quindici molti messicani s’apprestavano al rituale patriottico del grito, in cui i politici gridano «¡Viva México!» dai balconi dei palazzi del potere e la gente in piazza festeggia per ricordare l’inizio della guerra d’indipendenza dagli spagnoli del 1810. Un’altra parte del paese, però, gridava di rabbia per un femminicidio che rischiava, come tanti altri, di passare in sordina. In media in Messico ne vengono commessi sette al giorno, mentre in Italia ce n’è uno ogni tre giorni, per cui si tratta di un problema strutturale che, spesso, viene pericolosamente “normalizzato”.

L’attivista Verónica Villalvazo, vincitrice nel 2010 del prestigioso Premio Carlos Montemayor per la difesa dei diritti delle donne, vive sotto minaccia di morte per le sue denunce ed è nota con lo pseudonimo di Frida guerrera. Sul suo blog mantiene un conteggio dei femminicidi a livello nazionale per cui anche Mara adesso è una delle storie narrate dalla Guerrera, con altri 1292 casi documentati nel 2017.

RACCONTARE QUESTE STORIE è fondamentale per contrastare il meccanismo della criminalizzazione delle vittime innescato dai mass media e dai responsabili delle indagini.

Mara Castilla aveva partecipato alla campagna #SiMeMatan, «Se mi ammazzano», nata dopo il femminicidio di Lesvy Berlín, studentessa 22enne uccisa il 3 maggio nel campus dell’Università Autonoma del Messico. Parte della stampa s’accanì contro la vittima, facendola passare per una «poco di buono», e la Procura della capitale divulgò messaggi denigratori e sostenne subito la tesi del suicidio, smentita poi da prove raccolte dalla famiglia e dai suoi avvocati.

LE REAZIONI NELLE PIAZZE furono decise e in rete divennero virali. Mara aveva scritto su twitter, come contributo alla protesta: «Se m’ammazzano è perché mi piaceva uscire la sera e bere tanta birra».

«Non si può parlare del comportamento delle donne e lasciare a loro la responsabilità, viviamo in un contesto che disprezza la vita delle donne, in uno Stato machista che ha un conto in sospeso», ha dichiarato la Direttrice di Amnesty International in Messico, Tania Reneaum.

Il 17 settembre s’è tenuta l’iniziativa #NoFueTuCulpa, «Non è stata colpa tua». Le piazze di decine di città messicane si sono riempite di tristezza e indignazione. Migliaia di persone, vestite di nero e viola, hanno chiesto giustizia al grido di Ni una más e Ni una menos, «Non un’assassinata in più e non una donna di meno», frase simbolo del movimento contro il femminicidio.

«ESIGIAMO L’ATTIVAZIONE di un’allerta di genere nazionale con risorse sufficienti per un piano d’azione contro i vari tipi di violenza femminicida identificati geograficamente in coordinamento con la società civile e diciamo basta alle simulazioni», reclama il comunicato che è stato letto alla fine della mobilitazione, fuori dalla Procura Generale della Repubblica a Città del Messico.

IN SOSTEGNO ALLA GIORNATA di cortei, convocati da collettivi e organizzazioni della società civile, è stato lanciato anche l’hashtag #VivanLasMujeres, «Vivano le donne», una risposta contundente al grido vuoto e retorico ¡Viva México!, alzatosi dai palazzi governativi nella triste notte dell’indipendenza e del grito.