Per i contadini della Nurra, nel nord ovest della Sardegna, l’identità di una persona e di una comunità proviene dalla terra. La terra ci dice chi siamo, nutrendoci materialmente e culturalmente. Negli ultimi anni questa relazione è stata stravolta da decine e decine di progetti che puntano a rendere l’isola la regione campione della green economy, l’ultima frontiera del capitalismo verde. Zio Giacomo difende questa terra da anni, con la passione forte e dignitosa di un popolo antico. Insieme a suo nipote Giuseppe ha messo su una fattoria didattica e recuperato un antico pozzo Nuragico, testimonianza di un’antica civiltà. Come tutti i contadini della zona sta lottando contro chi vorrebbe fargli piantare solo il cardo per soddisfare la domanda di biomasse della centrale dell’Eni. Il cane a sei zampe sostiene che la chimica verde segnerà la rivoluzione agricola sarda.

Il progetto di Matrica spa e di Polimeri Europa prevede la riconversione degli impianti dell’ex petrolchimico di Porto Torres nel «polo per la chimica verde». Secondo l’Eni il futuro è nel cardo, anzi in una particolare specie chiamata Cynara cardunculus. Così per assecondarne le necessità i contadini della Nurra dovrebbero abbandonare qualsiasi altra produzione agricola, destinando quelle che sono le terre più fertili di Sardegna alla crescita esclusiva della materia prima necessaria agli impianti chimici. A sentire gli esperti ci vorrebbero 100.000 ettari di terreni e 500.000 tonnellate di materia per sostenere la quantità di biomasse necessarie alla centrale dell’Eni, come ci racconta C.A.P.S.A. – il comitato di azione, protezione e sostenibilità ambientale – No Chimica Verde. Non solo tutta questa terra non c’è, ma la coltivazione del cardo per l’estrazione dell’olio da utilizzare come combustibile stravolgerebbe l’intera economia della zona e servirebbe per nascondere la combustione di altri materiali assimilati, estremamente nocivi per la salute. I 22 mila ettari della Nurra sarebbero quindi riconverti per una produzione inutile alle economie del territorio, che tra le altre cose richiede molta acqua e rischia di danneggiarne la biodiversità.

Nonostante gli evidenti limiti, l’obiettivo rivoluzione verde va avanti, con il consenso delle forze politiche di centrodestra e centrosinistra. Ai contadini ed ai pastori, organizzati nell’associazione «Nurra dentro- riprendiamoci l’agro», non rimane che lottare per salvare economie locali, posti di lavoro, tradizioni, relazioni e cultura.

Ma qui in Sardegna non sono solo i contadini della Nurra, i comitati a Porto Torres, Sassari ed Alghero a resistere all’avanzata della nuova frontiera della speculazione energetica. Sono tante le comunità ed i settori coinvolti. Al moltiplicarsi dei progetti di grandi aziende energetiche private, imprese di Stato e banche interessate al nuovo business verde si contrappongono in ogni luogo comitati di cittadini/e che smentiscono con dati alla mano l’idea secondo la quale sia sufficiente la parola «green» a garantire nuove opportunità per coniugare profitto e lavoro con il rispetto dell’ambiente. Qui lo chiamano «il grande inganno verde», al cui generalismo sono culturalmente piegate le forze politiche in regione ed a Roma. Il Centro Sociale Pangea, a pochi metri dalla mancata bonifica tra le più grandi d’Italia, i 23 Kmq dell’ex petrolchimico dell’Eni di Porto Torres, ricorda i disastri di un modello che in realtà riproduce la stessa vecchia idea del passato: i vantaggi dello sfruttamento sono privati e di pochi, mentre i costi sociali ed ambientali restano pubblici e di tanti. Politiche industriali sbagliate che, come denuncia l’ISDE- associazione italiana medici per l’ambiente, hanno trasformato la Sardegna nella regione più inquinata d’Italia. Alla faccia della redistribuzione della ricchezza, della salute, della crisi ecologica e della credibilità della democrazia rappresentativa. La speranza è nella riconversione ecologica partecipata delle attività produttive e della filiera energetica, da organizzare insieme a lavoratori, comunità e amministrazioni locali. Un metodo diverso, che si fonda sulla democrazia partecipata e della ricerca della giustizia ambientale.

Per avere un’idea della vitalità di questi nuovi soggetti basterebbe visitare il portale che da voce ai territori in movimento, www.arexxini.info . Nonostante il silenzio che circonda l’argomento, sono moltissimi i conflitti aperti. Oltre a quelli di Sassari, Porto Torres, Alghero, ci sono Cossoine, Guspini, Narbolia, Vallermosa, Gonnosfanadiga, Isili, Nurallao, Arborea, Narblia, sono per citarne alcuni. Tutti impegnati a denunciare i falsi miti sui cui fonda la sua retorica la green economy, dove il rispetto del territorio ed il lavoro lasciano spazio ad una realtà fatta di grandi impianti, sprechi, corruzione, disoccupazione, inquinamento, mancate bonifiche ed intrecci finanziari pericolosi. Come quello che vede al centro il presidente sardo di confindustria Alberto Scanu nel progetto di una centrale solare termodinamica a torre centrale a sali fusi, presentato proprio dalla sua Sardinia Green Island nel territorio di Villaermosa. Il comitato «Sa Nuxedda Free» appena costituito ha da subito messo in luce i limiti del progetto, a partire dalla localizzazione dell’impianto previsto in una zona agricola di 130 ettari che verrà ricoperta da 3500 specchi eliostatici necessari a riflettere i raggi solari su una torre alta 200 mt.

Per supportare l’impianto è previsto un sistema di riscaldamento a biomasse capace di portare i sali ad una temperatura superiore ai 260°. Il comitato denuncia la depredazione del terreno agricolo, la vicinanza al centro abitato e ad altri nuclei agricoli, l’impatto ambientale per il quale ancora non è prevista la valutazione e l’utilizzo di prodotti non vegetali per far funzionare la centrale a biomasse, così come già affermato da molti esperti. Stesso discorso a Guspini e Gonnosfanadiga, dove la Energogreen, controllata Fintel, vuole realizzare una megacentrale termodinamica, un parco eolico e due centrali a biogas.

Il Comitato No Megacentrale denuncia come per realizzare l’impianto sarà necessario livellare più di 200 ettari di terra fertile, spianando e distruggendo le aree boschive. Una landa di specchi sostituirà un paesaggio fatto di uliveti e pascoli. Senza contare l’impatto sulle riserve di acqua, circa 50.000 metri cubi al mese. I geologi sostengono che la ricerca di acqua comprometterebbe le falde, innalzando il rischio siccità e razionamento idrico per gli abitanti della zona. Del resto le centrali a biomasse continuano a cadere a pioggia sul territorio con l’obiettivo di sfruttare gli incentivi di Stato, anche quando non vi sono campi esistenti di mais o simili che dovrebbero essere adiacenti alle centrali per garantirne il funzionamento. Nonostante non vi siano piani agronomici la compravendita di terreni per aziende intenzionate a produrre biomasse sta segnando un’impennata, con gravi ripercussioni sul tessuto socioeconomico. Sono molti a dar via terreni e bestiame, dove tra le altre cose l’aumento della richiesta di biomasse spinge in alto i prezzi dei mangimi.

Altri impianti termodinamici della Energogreen sono al centro dei conflitti nella zona di Cossoine, dove il 17 marzo i cittadini si sono pronunciati per l’88% dei voti contro la centrale con un referendum indetto dallo stesso sindaco. Una lotta che ha visto vincere un’intera comunità nella difesa del proprio territorio e nel recupero della sua vocazione agricola. La centrale a regime avrebbe portato nelle casse della Energogreen 40 milioni di euro grazie agli incentive sulle tariffe del Quinto conto energia. Soldi facili, garantiti da chi paga in bolletta gli incentivi sia per produrre energia da rinnovabili sia da fonti “assimilate”, cioè rifiuti e scarti di raffineria.

La liquidità garantita dagli utenti dell’energia elettrica viene qualificata come “incentivi” e destinata agli speculatori, alla faccia della crisi economica. Su questo hanno le idee molto chiare i comitati S’Arrieddu e No Furtovoltaico, impegnati a liberare Narbolia dai pannelli della Enervitabio, controllata dalla cinese Winsun Luxembourg. Un progetto approvato illegittimamente e privo di efficacia per la comunità, con enormi impatti ambientali e sociali. Anche qui il ricatto occupazionale non regge. A fronte di qualche decina di occupati i comitati denunciano la scomparsa nell’isola di 97.000 posti di lavoro per la chiusura di moltissime aziende del comparto agro pastorale.

Le cause sono da imputarsi alla corsa ad accaparrarsi terreni per accedere ad ulteriori incentivi, così da mandare avanti il ciclo di produzione dell’energia da parte di grandi imprese come la Winsun, che fanno a loro volta lievitare i prezzi spingendo i piccoli proprietari a vendere ed altri a corrispondere un affitto troppo elevato causato dagli aumenti della rendita fondiaria. Allo stesso modo la crescita della domanda di cereali causata dalla bolla speculativa avviata con il business dei biocarburanti fa aumentare il prezzo dei mangimi per animali, rendendo insostenibile economicamente portare avanti attività legate all’agro ed alla pastorizia per i piccoli produttori.

La pratica del “land grabbing”, l’accaparramento massiccio delle terre, sta trasformando la Sardegna per l’ennesima volta in una terra di conquista, attraversata da predoni. Una regione che oggi è costretta ad importare l’80% dei suoi consumi alimentari, mentre produce una quantità di energia superiore rispetto al suo fabbisogno energetico. «Questa è una battaglia per la sovranità, contro la speculazione energetica», ci ripetono infatti i cittadini del Comitato No al progetto Eleonora durante la marcia della terra che si è tenuta il 20 aprile scorso ad Arborea. Qui la Saras, impresa della famiglia Moratti, ha intenzione di trivellare il territorio per la ricerca di gas metano attraverso il «fracking», la fratturazione idraulica delle rocce, una tecnica pericolosissima e vietata da molti paesi. Scienziati degli Stati uniti imputano al fracking la nuova ondata di terremoti in zone non sismiche come il Midwest, dove le continue fratture e le sostanza utilizzate come riempitive per tenerle aperte sarebbero all’origine della nuova ondata sismica.

Secondo l’UNMIG, ufficio nazionale minerario idrocarburi, in Italia sono 39 i pozzi di reiniezione, di cui ben 26 dell’Eni. I cittadini di Arborea vogliono evitare questo scempio e gli enormi rischi che il progetto arrecherebbe, a fronte di vantaggi immediati molto piccoli in termini occupazionali e di danni enormi nelle filiere lattearia, casearia e agroalimentare. Un inganno verde svelato dalle tante soggettività nuove che in Sardegna, come nel resto del paese, a partire dalla difesa dei beni comuni mettono al centro la dignità della persona ed una relazione nuova con la natura non umana, dalla quale partire per coniugare diritti, lavoro e difesa dell’ambiente.