In concomitanza della Pasqua ebraica, l’esercito israeliano ha imposto la chiusura dei Territori Occupati. I movimenti dei palestinesi saranno ristretti e limitati, eccetto che per i casi umanitari e d’emergenza.
L’annuncio del provvedimento non ha scosso più di tanto il 34enne dottor Basel Nassar, abituato a non potere lavorare a Gerusalemme Est, il settore palestinese della città occupato nel 1967 e annesso unilateralmente a Israele. Da quando si è laureato nove anni fa, le autorità israeliane non hanno mai permesso a Nassar di poter esercitare la professione a Gerusalemme e contribuire ad assistere la popolazione palestinese, nonostante sia residente nella città. Motivo? La laurea conseguita dal medico presso l’università Al Quds (Gerusalemme).
All’inizio del mese una corte israeliana ha sentenziato l’illegalità del divieto, aprendo la strada a Nassar e altri 54 medici palestinesi per ottenere, con un esame, l’abilitazione all’esercizio della professione a Gerusalemme. Non è noto però, ha spiegato Nassar ad alcuni giornalisti giunti per intervistarlo, se le autorità israeliane metteranno fine alla battaglia legale in corso da anni. «Aspetto da tanto tempo che sia revocata questa proibizione che nega non solo i miei diritti e quelli dei miei colleghi ma anche il diritto all’assistenza sanitaria della popolazione palestinese. A Gerusalemme (Est) c’è urgente bisogno di medici specializzati».

La questione è politica

La vicenda è una delle manifestazioni quotidiane dell’occupazione che limitano e complicano l’esistenza dei palestinesi. Di solito si è portati ad associare l’occupazione israeliana dei Territori ad operazioni militari, arresti, ferimenti, uccisioni, confische di terre, costruzioni di colonie. Queste sono soltanto le forme più note e visibili che colpiscono un certo numero di persone. L’occupazione che incide sulla vita di tutti i palestinesi si manifesta in modo più sottile ma non meno dannoso: permessi negati, autorizzazioni rinviate per mesi, talvolta per anni, spostamenti resi impossibili o limitati, importazioni ed esportazioni di merci paralizzate. L’elenco è lungo e comprende anche il caso del dottor Nassar e dei suoi colleghi.
La loro vicenda non è legata, come vorrebbero far apparire le autorità, a standard medici da rispettare. Piuttosto riguarda questioni politiche. Molti dei 55 medici coinvolti infatti hanno ottenuto specializzazioni e titoli in ospedali, centri medici ed università degli Stati Uniti e dell’Europa e sono perfettamente in grado di esercitazione la loro professione. Hanno però commesso la colpa di aver conseguito la laurea all’Università al Quds, storico ateneo palestinese di Gerusalemme, considerato dalle autorità israeliane un «laboratorio della resistenza» all’occupazione di Gerusalemme Est.
Il riconoscimento del titolo di studio rilasciato dalla facoltà di medicina di Al Quds finirebbe per rappresentare anche un riconoscimento della sovranità palestinese sulla parte araba della città. Allo stesso tempo, proprio perchè si trova a Gerusalemme, Israele si rifiuta di assegnare ad al Quds lo status di «università straniera» garantito agli atenei palestinesi in Cisgiordania.
Il ministero israeliano della sanità ha autorizzato solo una volta, nel 2009, l’accesso agli esami di abilitazione per 11 laureati in medicina ad Al Quds, annunciando che in futuro non avrebbe fatto altre eccezioni.
La conseguenza immediata di questa posizione è la penuria di medici specialisti palestinesi a disposizione dei 300 mila abitanti arabi di Gerusalemme Est. Quella a lungo termine è la lenta ma costante partenza dei medici per l’estero.

Fuga obbligata dei cervelli

Anche il dottor Nassar ora progetta di andare via. «Sono costretto a lavorare solo in Cisgiordania e la clinica privata dove sono impiegato può pagarmi uno stipendio di 1.300 dollari, che non mi basta perché a Gerusalemme la vita costa molto. Ho moglie e figli. Se non mi riconosceranno la specializzazione sarò costretto a cercarmi un lavoro all’estero, spero negli Usa», spiega il medico.
Una fuga di cervelli che il preside della facoltà di medicina, Hani Abdin, guarda con grande preoccupazione. Dei 75 medici che escono ogni anno dalla Al Quds, riferisce Abdin, tra i 30 e i 40 si trasferiscono negli Stati Uniti, in Europa e nei paesi arabi, perchè non sanno come superare gli ostacoli creati dall’occupazione israeliana.