Il doppio mandato di Napolitano

2006 – Ottimismo economico e Resistenza

2006

Eletto il 10 maggio di quell’anno al quarto scrutinio, con i voti della sola Unione di centrosinistra, Napolitano appena sei giorni dopo aveva conferito a Romano Prodi l’incarico di formare il suo secondo governo. Nel luglio 2006 aveva anche assistito alla vittoria della nazionale italiana di calcio, campione del mondo nello stadio di Berlino. Nel suo primo messaggio di fine anno, durato 18 minuti, il presidente esordisce parlando della difficoltà dell’incarico: «Sto ora verificando quanto sia più complessa e impegnativa la responsabilità che la nostra Costituzione attribuisce al Capo dello stato. Interpretare ed esprimere, con passione civile e con assoluta imparzialità, sentimenti e valori condivisi, esigenze e bisogni che riflettono l’interesse generale del paese». Non c’erano ancora le preoccupazioni per la crisi economica, anzi il presidente era ottimista: «Per fortuna l’Italia non è ferma. Ha già ripreso a crescere (…). L’occupazione è in aumento». Già presente il tema delle riforme istituzionali, ma in quel primo anno piuttosto sfumato, poche parole: «Si trovi dunque l’intesa per riformare le istituzioni, si ricerchi pazientemente l’accordo sui meccanismi elettorali»; la legge Calderoli, il Porcellum, era stata approvata appena un anno prima. Il tema centrale del messaggio fu invece il rischio dell’antipolitica, che allora non si chiamava ancora così – il libro La Casta di Rizzo e Stella sarebbe uscito solo l’anno successivo – ma che Napolitano colse in questo modo: «Se la politica diventa un continuo gridare (…) allora molti finiscono per allontanarsi non da questo o quel partito ma dalla politica». In antitesi il presidente cita una delle lettere dei condannati a morte della Resistenza: «La cosa pubblica siamo noi stessi».

2007 – «I fatti smentiscono il declino del paese»

2007

In quell’anno Napolitano dovette affrontare la sua prima crisi di governo, che fu risolta con il rinvio di Prodi alle camere e la conferma della fiducia. Nel mese di febbraio il presidente fu coinvolto in un duro scontro polemico con il collega croato Stipe Mesic per una ricostruzione del dramma delle foibe che la Croazia considerò viziata da «razzismo e revisionismo storico». Sempre nel 2007 Napolitano fu attaccato dall’allora senatore di An Francesco Storace che lo definì «per disdicevole storia personale indegno di una carica usurpata a maggioranza». Per quelle parole Storace è stato condannato appena due mesi fa (sei mesi di reclusione, pena sospesa) per vilipendio al capo dello stato. Nel messaggio di capodanno grande spazio all’economia, ma non ancora per avvertire i segni della grande crisi in arrivo, piuttosto per richiamare il peso della questione meridionale: «Il problema sta nel come valorizzare e incoraggiare dovunque nel paese questo dinamismo, nella difficoltà ancora per troppi giovani del sud a trovare lavoro, nonostante la netta diminuzione del tasso nazionale di disoccupazione». Lo sguardo sul futuro è ancora fiducioso: «Molti e diversi sono comunque i fatti che smentiscono le rappresentazioni di un’Italia in declino»,il capo dello stato segnalava semmai un problema opposto a quello di oggi: l’inflazione troppo alta: «C’è da proporre soluzioni innanzitutto di fronte all’allarme per l’aumento del costo della vita». E, come nel messaggio dell’anno precedente, ma con più forza visto che appena venti giorni prima del san Silvestro 2007 ci fu la strage della Tyssenkrup di Torino, Napolitano non dimentica di ricordare che «l’insufficiente tutela della vita sul lavoro è stato e rimane un mio assillo».

2008 – Ecco la crisi. A Berlusconi: ascolti di più il parlamento

2008

La crisi definitiva del centrosinistra, le elezioni anticipate, il ritorno di Berlusconi a palazzo Chigi, nulla di tutto questo trova spazio nel messaggio di fine anno di Giorgio Napolitano il 31 dicembre 2008. Messaggio breve, otto minuti, che inizia citando «lo sgomento per le notizie e le immagini che ci giungono dal cuore del Medio Oriente». Il riferimento, senza citare i responsabili dell’attacco, è all’operazione «Piombo fuso» scatenata da Israele nella striscia di Gaza il 27 dicembre di quell’anno. Ma c’è subito un’altra preoccupazione per Napolitano, la crisi economica è ormai conclamata: «Una sconvolgente crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti che sta colpendo l’intera economia mondiale». Il presidente si sforza di essere ottimista: «Sono convinto che possiamo limitare le conseguenze economiche e sociali per l’Italia, e creare anzi le premesse di un miglior futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più vive energie di cui disponiamo». Dice Napolitano che «dalla crisi può e deve uscire un’Italia più giusta, facciamo della crisi un’occasione per impegnarci a ridurre le sempre più acute disparità che si sono determinate nei redditi e nelle condizioni di vita», speranza che sei anni dopo si può ben dire delusa. Aggiunge il presidente che la crisi dovrebbe essere anche un’occasione per «liberarsi» delle «debolezze del nostro sistema» e ne cita tre che non casualmente sono le stesse di attualità oggi: «l’assetto delle nostre istituzioni, il modo di essere della pubblica amministrazione e il modo di operare della giustizia». È interessante, però, sottolineare un altro passaggio, dove Napolitano raccomanda al governo di confrontarsi con il parlamento sulle «esigenze di intervento sul versante economico e sul versante sociale». E a Berlusconi il capo dello stato ricorda come «la capacità di giudizio e di proposta del parlamento resta fondamentale non nostro sistema democratico».

2009 – «Poteri separati», il monito vintage

2009

La crisi si incattivisce, ma negli auguri di fine d’anno il presidente della Repubblica sceglie un tono diverso, più positivo. E lo fa per una precisa convinzione, esplicitata in conclusione di messaggio e che vale come chiave di lettura per tutte le sue parole: «Nulla è per me come presidente di tutti gli italiani più confortante che contribuire alla serenità di tutti voi». Le aziende chiudono, i disoccupati aumentano, il governo Berlusconi nato da appena un anno mostra già segni di difficoltà, Giorgio Napolitano si sforza ugualmente di cercare motivi di ottimismo: «Abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza. Nello stesso tempo, nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità da parte delle imprese, delle famiglie del mondo del lavoro». Un primo accenno all’emergenza delle carceri: «Penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca». E il consueto passaggio sulle riforme, ancora insistendo su quell’esigenza di equilibrio tra i poteri che invece nel corso degli anni successivi lascerà spazio all’urgenza di rafforzare il potere del governo: «Siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo che di opposizione».

2010 – Giovani, antipolitica, non lavoro: il déjà vu

2010

È un massaggio abbastanza drammatico quello che Giorgio Napolitano legge per diciannove minuti seduto alla sua scrivania la sera del 31 dicembre 2010. «Gli ultimi dati ci dicono che le persone in cerca di occupazione sono tornate a superare i due milioni, di cui quasi uno nel Mezzogiorno ; e che il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 anni e i 24 – ecco di nuovo il discorso sui giovani, nel suo aspetto più drammatico – ha raggiunto il 24,7 per cento nel paese, il 35,2 nel Mezzogiorno e ancor più tra le giovani donne. Sono dati che debbono diventare l’assillo comune della Nazione». Dati che invece nel frattempo sono assai peggiorati. Passati altri quattro anni di crisi, i disoccupati sono vicini ai quattro milioni, il tasso di disoccupazione giovanile si è impennato oltre il 40% e quello dei giovani al mezzogiorno addirittura raggiunge il 60%. Ed è proprio ai giovani che «vedono avvicinarsi il tempo delle scelte e cercano una strada» che dedica il suo primo augurio il presidente, in un passaggio assai simile a quello con il quale ha chiuso il suo ultimo messaggio di auguri agli italiani, quello di due sere fa. Molte somiglianze all’attualità anche nell’appello diretto ai cittadini per spronarli a reagire all’indifferenza e alle tentazioni antipolitiche: «Voi che mi ascoltate non siete semplici spettatori, perché la politica siete anche voi, in quanto potete animarla e rinnovarla con le vostre sollecitazioni e i vostri comportamenti, partendo dalle situazioni che concretamente vivete, dai problemi che vi premono». Non manca nel messaggio l’auspicio di una ripresa dell’amor di patria: in fondo l’anno successivo sarebbe stato quello del 150esimo dell’unità d’Italia.

2011 – Operazione Monti, una rivendicazione

2011

Proprio dall’anniversario dell’unità e dalle tante cerimonie in giro per il paese «dove mi avete accolto ovunque con calore» parte il presidente, per un messaggio di durata ormai «classica» – 20 minuti – ma stavolta con un taglio di ripresa Rai nuovo: di sbieco, seduto dietro la scrivania sgombra. Giorgio Napolitano parla ancora della crisi finanziaria ed economica, cerca testardamente di vedere di anno in anno segnali di speranza, anche se di anno in anno deve registrarli costantemente delusi. Ma questo è l’anno della crisi definitiva del governo Berlusconi e dell’operazione Monti, con Napolitano saldamente alla regia. Prima la nomina del professore della Bocconi a senatore a vita e poche ore dopo la decisione di non sciogliere le camere e di lanciare un governo tecnico con una base parlamentare di larghe intese. Nel messaggio il presidente spiega e difende le sue scelte. Ricorda a Berlusconi – che a distanza di un mese dai fatti già stava cominciando a recriminare e denunciava il «golpe» – che era stato proprio il Cavaliere «a prendere atto responsabilmente» della fine inevitabile del suo governo. Aggiunge poi Napolitano che sulla continuità del parlamento «si è largamente convenuto» perché lo scioglimento delle camere «avrebbe rappresentato un azzardo pesante dal punto di vista dell’interesse generale del paese». Si inaugura così il doppio binario «riformista», destinato a durare due anni, con il governo di larghe intese indirizzato alle scelte economiche più pesanti – fisco, mercato del lavoro, pensioni: Napolitano le indica tutte – e i partiti che dovrebbero dedicarsi «alla ricerca di intese tra loro sul terreno delle riforme istituzionali mature».

2012 – Delusione per Supermario. Appello per i nuovi italiani

2012

Il discorso per il capodanno del 2012, a rileggerlo oggi, non era molto un discorso di commiato. Eppure doveva esserlo (anche se non lo è stato). Poche parole in conclusione, tre righe, per riassumere l’impegno del settennato. Che sarebbe diventato un novennato, fino all’addio di mercoledì sera, questo sì pieno di riferimenti alla conclusione del mandato. Il 31 dicembre 2012 le elezioni anticipate sono alle porte. Napolitano ha provato a evitarle, la legislatura era comunque avviata alla conclusione e la crisi delle larghe intese anticipa solo di un paio di mesi il voto. E Monti è in campo, per grande scorno del presidente che lo aveva individuato come figura tecnica e in qualche modo sopra le parti, prima concedendogli la carica di senatore a vita, poi – non è un mistero – immaginandoselo come erede al Colle. «Il senatore Monti ha compiuto una libera scelta di impegno politico», dice il presidente come a prenderne le distanze. E assicura che nei giorni che precedono le elezioni per quanto alla guida di una lista che porta il suo nome – e che otterrà magri risultati – Monti condurrà il disbrigo degli affari correnti con imparzialità. Oltre a questo passaggio, legato anche alla speranza di una campagna elettorale con «senso del limite e della misura nei confronti delle polemiche», è importante anche il «grave rammarico» perché «non si è saputo o voluto riformare la legge elettorale». Fuori da questi temi, e da quelli consueti della crisi e della fiducia nei giovani per la ripresa, ecco il passaggio dedicato ai «minori extracomunitari nati in Italia» per incoraggiare una riforma del diritto di cittadinanza: «È concepibile che, dopo essere cresciuti e essersi formati qui – restino stranieri in Italia?».

2013 – Le lettere al Colle, la difesa dai critici

Quirinale - festa della donna

«L’anno che sta per terminare è stato tra i più pesanti e inquieti che l’Italia ha vissuto da quando è diventata Repubblica. Tra i più pesanti sul piano sociale, tra i più inquieti sul piano politico e istituzionale». Nell’anno della sua rielezione, il presidente sceglie toni assai gravi, che esaltano la drammaticità del momento appena passato: «Pericoli di un vuoto di governo e di un vuoto al vertice dello stato». Poi fa una scelta retorica che segnala una certa stanchezza nell’appuntamento annuale, l’esigenza di rinnovare la formula. Legge alcune delle lettere che gli sono state indirizzate. Un imprenditore marchigiano senza più fabbrica, un quarantenne comasco troppo giovane per la pensione e troppo vecchio per lavorare, un «esodato» della provincia di Torino. Nel messaggio il presidente raccomanda «lungimiranti e continuative scelte di governo». E si dedica diffusamente alla denuncia dei rischi della «tendenze distruttive nel confronto politico», allusione al grillismo montante. Al centro del messaggio, questa volta con ancora più forza del solito, l’urgenza delle riforme istituzionali. Che, avviate da Letta lungo la strada di una tortuosa «sospensione» della procedura ordinaria, si erano alla fine arenate. Ma ancora nel 2013 il presidente nell’indicare la rotta riformatrice si concentra sugli abusi dei governi, più che sui difetti del parlamento. Invita infatti a porre «termine a un abnorme ricorso alla decretazione d’urgenza e a votazioni di fiducia su maxiemendamenti». Finale personale: «Nessuno può credere alla ridicola storia delle mie pretese di strapotere personale. Resterò presidente fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile e fino a quando le forze me lo consentiranno. Non un giorno di più». Così ha fatto.