Alla fine il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha ottenuto che la Commissione Lavoro della Camera non intervenisse su quello che riteneva un paletto invalicabile, i 36 mesi senza causale per i contratti a termine. La commissione, presieduta dal Pd Cesare Damiano, ha approvato un testo che però modifica il suo decreto, migliorandolo in alcune parti pur lasciando inalterato appunto il «totem» dei tre anni di precarietà. E lo ha fatto con il solo sì del Partito democratico, mentre Ncd – in forte polemica con l’alleato di maggioranza – non ha partecipato alla votazione. Scelta civica e Forza Italia si sono astenute, mentre Sel, M5S e Lega Nord hanno votato no.

L’accordo sui contratti a termine, che peraltro incassa l’ok da Poletti – «Non è stato stravolto, adesso passi all’ok dell’Aula» – si aggiunge a un altro espisodio piuttosto grave, ovvero il rinvio al ddl delega (cioè, se va bene, a metà 2015) della legge sulle dimissioni in bianco.

Sel aveva fatto di tutto per reintrodurre questo principio di civiltà nella legislazione: la prima legge, dell’allora ministro Damiano, risale al governo Prodi, ma poi il successivo esecutivo Berlusconi l’aveva cancellata («troppa burocrazia», aveva detto il ministro Sacconi); infine c’era stata un parziale, ma debole, ripristino sotto Monti. Il nuovo testo alla Camera era passato grazie all’alleanza Sel-Pd, ma al Senato gli equilibri si sono capovolti, e il Pd ha deciso di appoggiare l’idea di Forza Italia di infilare la riforma nel ddl delega.

Quanto al «decreto Poletti», la novità principale riguarda la riduzione delle proroghe possibili: da otto passano a cinque. L’emendamento del relatore Carlo Dell’Aringa, quello che è stato approvato e che ha quindi introdotto le modifiche, prevede inoltre che il congedo di maternità «concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza» nel caso di assunzione a tempo indeterminato, da parte dell’azienda. Alle stesse lavoratrici è anche riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, «con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine».

La proposta di modifica passata in Commissione Lavoro della Camera, prevede, inoltre che il datore di lavoro «è tenuto a informare il lavoratore del diritto di precedenza» attraverso «comunicazione scritta da consegnare al momento dell’assunzione». I contratti a tempo determinato potranno raggiungere il tetto massimo del 20% rispetto al numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. La sanzione prevista per chi non rispetta la regola è l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i nuovi assunti oltre quel 20%: «I lavoratori assunti a termine, in violazione del limite percentuale, sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto di lavoro».

Garanzie sono state introdotte anche nei contratti di apprendistato: è stato reinserito l’obbligo di formazione pubblica, ma esso decade dopo 45 giorni dall’assunzione nel caso in cui la regione non abbia attivato le procedure. La formazione svolta in azienda dovrà avere un programma scritto. Ancora: le imprese con più di 30 dipendenti dovranno assumere almeno il 20% degli apprendisti, prima di poter stipulare nuovi contratti.

Interessante il fatto che tra le modifiche introdotte c’è una sorta di norma di «principio», quasi a giustificare l’urgenza della legge Poletti: le nuove regole vengono introdotte «in considerazione della perdurante crisi occupazionale», per «rafforzare le opportunità di ingresso nel mercato del lavoro». Ma si precisa anche che «il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro».

Se la Cgil protesta per le dimissioni in bianco – «Si è persa un’importante occasione» – le modifiche alla legge Poletti poste alla Camera non piacciono a Ncd, che annuncia battaglia: si dovrà vedere ovviamente come andrà ora in Aula, e poi appunto al Senato. Boccia le modifiche anche Rete Imprese per l’Italia: «Si torna alla logica delle sanzioni, tornano le norme penalizzanti per le assunzioni».