Viviamo in un’economia a debito. Non solo gli stati – anche se si è preferito mettere sotto torchio solo loro. Aziende, famiglie e banche diventano sempre più ingranaggi della grande finanza globale diventando sempre più gravidi di debiti; gli investimenti non vanno verso la produzione e i salari ma nella rendita finanziaria. La recente crisi economico-finanziaria è causata in buona parte da tale squilibrio.

La situazione di tale insostenibilità è stata denunciata da molti, anche molto lontani dalle prospettive politiche radicali o di sinistra. Perciò parrebbe ragionevole aspettarsi che sei anni dopo lo scoppio della crisi tale problema sia stato affrontato o smorzato.

Purtroppo non è così.

Fra i tanti termini anglosassoni entrati nell’uso comune (il temuto spread, il terrorizzante default, il vagamente spaventoso hedge fund…) non c’è ancora il deleveraging. È un termine tecnico per indicare l’abbassamento dell’indebitamento (definito tecnicamente come rapporto fra il capitale proprio e quello che, pur usandolo, non lo è). Forse la traduzione meno improbabile sarebbe sdebitarsi.

Un maestoso rapporto, promosso da prestigiosi centri di ricerca economica (Icbm e Cepr) e scritto da quattro esperti analisti (uno di Morgan Stanley e uno della London Business School, non proprio una accolita di bolscevichi dunque…) si intitola Deleveraging? What Deleveraging? che dunque suona come Sdebitarsi? Quale sdebitarsi? Il motivo è esposto sinteticamente nell’introduzione: «Contrariamente a quanto si crede comunemente, il mondo non ha ancora iniziato a sdebitarsi, ma il debito rispetto al PIL sta ancora crescendo, arrivando ad un nuovo vertice».

Possibile che siamo ancora a tale punto?

Una conferma arriva da un testo recentemente divulgato dalla Commissione europea, lo European Economic Forecast di autunno; in tale vasto studio dove si fa il punto sull’economia dell’Unione, spunta un grafico che fotografa la progressione del debito privato.

In tutti i paesi Ue nel periodo 2000-2013 vi è stato un aumento molto forte del debito privato non finanziario (dal 150% rispetto al Pil a quasi 300% per l’Irlanda, per esempio). Meno uno: la Germania. Se prendiamo il periodo dal 2008 le cose vanno un po’ meglio: UK e Spagna con altri 10 hanno diminuito, ma Francia, Italia, Belgio con altri 13 paesi mostrano un tenue ma chiaro peggioramento.

Il dato va contestualizzato: dato che la cifra dell’indebitamento è in relazione al Pil è evidente che chi ha una recessione più dura vede una strada tutta in salita.

Vista la situazione, la Commissione ha pensato bene di ipotizzare uno sdebitamento da cavallo per i meno virtuosi: un meno 30% (per Spagna, Irlanda e Grecia e Portogallo ma anche Svezia; l’Italia no, basta il 10%).

Tutti sono d’accordo che l’indebitamento (privato, si basi bene) sia un fattore negativo; ma il mainstream lo considera una patologia del sistema quando appare invece essere il fulcro di esso.

L’economia contemporanea, basata sulla finanza e su un crescente indebitamento a ogni livello come passaggio essenziale della creazione di profitto non sembra capace di sdebitarsi ma di spostare l’indebitamento da una parte all’altra (indoviniamo chi rimane col cerino i mano, si pensi ai salvataggi bancari… pagati dai cittadini) a meno di non dissolvere le sue stesse basi. Che significherebbe uscire dal sistema, dare un vero spessore rivoluzionario al senso di sdebitarsi.

Tale sarebbe la scelta: quale opzione intraprendere? Quale sdebitarsi?