C’è uno studio che, più di ogni altra leggenda sui fondi che il governo avrebbe messo sull’istruzione (Renzi lo ha ripetuto ancora ieri) racconta la realtà di chi lavora nella scuola. Si chiama «Eurydice» e dimostra come gli stipendi dei docenti italiani siano rimasti al palo negli anni della grande crisi. Come in Grecia, Cipro, Lituania, Slovenia e Liechtenstein. Nell’ultimo anno gli stipendi sono aumentati ovunque, e sono stati adeguati al costo della vita. In Italia, dove l’unica vera spending review è fatta ai danni degli statali e dal blocco del turn-over (la legge di stabilità lo avrebbe riportato al 25%, mentre doveva raggiungere l’80%), invece il blocco continua.

Il Governo ha stanziato una miseria, 200 milioni, nella legge di Stabilità 2016, una cifra che non recupera quanto sottratto dal 2009. Briciole, non paragonabili a quanto avvenuto in Lussemburgo, Repubblica ceca, Romania e Malta, mentre Croazia, Slovacchia e Islanda hanno riformato il loro sistema e la Spagna ha aumentato i supplementi. Questo avviene in Belgio, Irlanda, Francia, Polonia, Finlandia Gran Bretagna e Montenegro per tutti i dipendenti pubblici, non solo per chi lavora nell’istruzione.

Lo stipendio italiano è compreso tra i 23.048 euro lordi nella scuola primaria e dell’infanzia ai 38.902 euro della secondaria di secondo grado. Al netto delle tasse la cifra si riduce di molto: è un miracolo superare i 1.800 euro mensili. I paragoni fanno male, ma vanno fatti: in Spagna un insegnante raggiunge un reddito di 46.513 euro, in Francia 47.185 euro, in Germania anche 70mila euro. Modernità, responsabilità, idea di civiltà sconosciute per i «riformatori» della «Buona scuola» italica.

Il rinnovo del contratto scaduto da sette anni e il recupero degli aumenti sono due delle ragioni per cui ogggi in tutto il paese i sindacati della scuola Cisl Scuola, Flc Cgil, Uilscuola, SnalsConfsal, Gilda e Cobas torneranno a manifestare contro il governo. Uno degli hashtag della protesta su twitter è #unionefalascuola. La terza ragione è la modifica della legge sulla «Buona scuola» approvata a luglio nell’indignazione generale, e dopo uno sciopero generale che ha impegnato oltre il 70% dei lavoratori del settore. «Più valore al lavoro nella scuola» è lo slogan della manifestazione. A Roma è previsto un corteo unitario da Piazza della Repubblica a piazza Ss. Apostoli. Cortei anche a Cagliari, Palermo e Catania. Manifestazioni a Trieste, a Venezia in Campo S.Geremia, in Umbria volantinaggio in occasione di Eurochocolate 2015; volantinaggio nelle scuole del Molise; fiaccolata, corteo e concerto finale a Bari. A Napoli la Uil scuola distribuirà un «gratta e vinci» speciale. L’ironico tagliando allude alle fasi di assunzione degli oltre 102 mila precari, 55 mila «in fase C» che attendono la destinazione in Italia e, soprattutto di capire se dovranno svolgere il loro lavoro di insegnanti da «tappabuchi» rispetto alle esigenze del «preside-manager» creato dalla riforma renziana.

«Dare più valore al lavoro della scuola è un’assoluta priorità, non siamo disponibili – sostengono Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda – a subire passivamente un modello di scuola e di organizzazione del lavoro che mette in discussione valori e principi costituzionali». I sindacati chiedono pure la stabilizzazione dei precari docenti e Ata «ingiustamente esclusi dal piano delle immissioni in ruolo, per dare certezza e continuità al lavoro anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea». E avvertono che se le voci della scuola non troveranno ascolto, la mobilitazione continuerà «perché la scuola pubblica è un patrimonio del Paese che non può essere dilapidato». I Cobas di Bernocchi confermano lo sciopero generale del 13 novembre della scuola, con manifestazione nazionale a Roma.