Insegnanti della scuola primaria e dell’infanzia che protestano contro una sentenza del Consiglio di Stato che mette a rischio il posto di lavoro, insieme ai docenti delle scuole di ogni grado e personale Ata, hanno aderito ieri allo sciopero della scuola indetto dai sindacati di base Cobas, Cub, Unicobas, Usb. Ragione della protesta è il contratto della scuola firmato il 9 febbraio scorso da Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, ma non dalla Gilda e dallo Snals. L’intesa è stata criticata anche dall’Anief.

A Roma i manifestanti si sono mossi in corteo dal Ministero dell’Istruzione in Viale Trastevere verso il Pantheon e sono stati raggiunti da lavoratori della sanità che hanno aderito allo sciopero indetto da Cub Sanità Italiana, Usb Pubblico Impiego Sanità e Nursing Up (le categorie di Cgil, Cisl e Uil lo hanno sospeso). Questi ultimi erano in presidio davanti al Ministero della Salute. Per Usb il contratto della sanità conterrebbe «solo peggioramenti sia per quanto riguarda i diritti che le condizioni di lavoro che si traducono in un peggioramento dei servizi per i cittadini». Nel corso della giornata la protesta si è spostata anche alla sede dell’Aran, dove si è discusso il contratto.

Tornando al contratto della scuola, i motivi della protesta dei sindacati di base sono articolati e molto tecnici. Su tutti, prevale la critica dell’aumento ottenuto dai confederali: da un minimo di 81 euro ad un massimo di 111. Questi importi, giudicati modesti («mancette elettorali» per Piero Bernocchi dei Cobas), sono stati criticati perché assegnati su base percentuale anziché in termini assoluti. Gli importi potrebbero essere dunque anche più bassi rispetto a quelli annunciati, pari a un «medio netto mensile di 45 euro per gli Ata e 50 per i docenti, dopo che in dieci anni di blocco contrattuale la categoria ha perso almeno il 20% del proprio salario, alcune decine di migliaia di euro» sostiene Bernocchi. «Un contratto si valuta se aumenta i diritti e i salari. questo non ha fatto né una cosa né l’altra – ha commentato l’Usb -I nostri aumenti sono un terzo dei metalmeccanici e un sesto dei presidi sceriffo aumenti da fame specie se paragonati ai contratti privati». Un altro motivo dello scontro riguarda l’integrazione dell’aumento con il «bonus» Renzi assegnato dai presidi ai docenti «migliori» e al ruolo dei sindacati nell’assegnazione.

La trattativa sul contratto ha permesso di migliorare la parte normativa rispetto alla prima bozza, evitando le ricadute negative della legge 107 sul contratto. Resta invariato l’orario di servizio, non sono introdotti compiti aggiuntivi obbligatori e non retribuiti né per la formazione, né per l’Alternanza Scuola-Lavoro, il Collegio dei Docenti mantiene la prerogativa di deliberare le attività. Parere diverso sul contratto è stato espresso dal segretario Flc-Cgil Francesco Sinopoli secondo il quale, grazie all’intesa, «la buona scuola non esiste più». Alle obiezioni sulla modestia degli aumenti è stato risposto che è preferibile «riprendersi qualche soldo dopo 10 anni di astinenza» con un triennio contrattuale già in scadenza (dicembre 2018). L’accordo è, al momento, in attesa di una ratifica da parte degli iscritti del sindacato.