«Se la riforma passa ci saranno 100mila assunzioni. Se non passa o passa in ritardo ci saranno le 22mila assunzioni col sistema del turn over, quello classico di oggi». Matteo Renzi e Maria Elena Boschi si passano la palla: un giorno l’uno e un giorno l’altra ripetono lo stesso ricatto, fingono che a mettere in pericolo l’assunzione dei precari non sia la loro scelta di usarli come ostaggi ma l’incoscienza delle opposizioni, inclusa quella interna al Pd.

Ma non è tutto qui. Il ricatto c’è, ma forse a questo punto non è neppure più l’elemento saliente. La bugia dei precari che senza la legge non si potranno assumere serve ormai soprattutto come alibi per giustificare quell’ingiustificabile fiducia che dalla minoranza dem Corradino Mineo, in un tweet, definisce «un abuso e una dichiarazione di guerra contro il mondo della scuola». Quella questione di fiducia, Renzi la porrà, guerra o non guerra. E vuole che sembri una responsabilità delle opposizioni. Aggiungendo menzogna a menzogna afferma che «deciderà il Parlamento», quando in realtà è già tutto deciso. «Non entro nel merito delle decisioni delle opposizioni», afferma come se a decidere non fosse lui, e la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini controcanta: «Dipenderà dalla risposta delle opposizioni al ritiro degli emendamenti». Ma il problema non sono gli emendamenti: è il rischio, per non dire la certezza, di essere sconfitti da un libero voto del Parlamento.

Oggi arriverà in commissione Cultura il maxiemendamento, preparato dal governo e presentato dai due relatori. Non differisce dal testo originale in nulla di sostanziale. Le modifiche sono puramente cosmetiche. «Ho visto la bozza – dichiara il senatore Pd Mineo – e non c’è nessuna apertura sulle questioni fondamentali come il ruolo dei presidi o gli sgravi fiscali per le paritarie. Né io né Walter Tocci né i senatori d’opposizione siamo stati chiamati per un confronto».
L’ultimo particolare è di specifico interesse. Per ore, ieri, ha circolato la voce di un tentativo di mediazione da parte del governo, tanto che lo stesso presidente del Senato Pietro Grasso, per una volta contrario alla fiducia, si era illuso sperando che una possibile intesa fosse a portata di mano. Voci bugiarde e messe in giro ad arte. Il governo non ha alcuna intenzione di cercare un accordo. «Dal Pd – confermano le senatrici di Sel Loredana De Petris e Alessia Petraglia – non è arrivato alcun segnale di disponibilità e non c’è stata alcuna ricerca di mediazione. Solo ricatti». In queste condizioni, Renzi sa perfettamente che in commissione le opposizioni e i senatori ribelli del Pd non ritireranno i loro emendamenti. Potrebbero tutt’alpiù cercare di accorparli, per togliere al governo l’alibi dell’ostruzionismo e costringerlo a sfidare almeno una volta il voto della commissione, dove sarebbe certamente sconfitto.

E’ proprio quel che Renzi intende a tutti i costi evitare. In un modo o nell’altro, se possibile prima del voto altrimenti subito dopo il primo voto, il presidente della commissione dirà che «non ci sono le condizioni» per proseguire le votazioni in commissione. Pertanto si dovrà passare direttamente alla discussione in aula, dove lui stesso, ventriloquo di Renzi, farà da relatore. Ma siccome alcuni emendamenti passerebbero probabilmente anche in aula, primo fra tutti quello sullo stralcio del piano pluriennale per la stabilizzazione di tutti i precari che risolverebbe il loro dramma e sottrarrebbe a Matteo Renzi l’alibi, arriverà la fiducia. Per impedire al potere legislativo di legiferare in materia di istruzione e scuola. Inutile dire che la fiducia verrà posta su un ddl pieno, come al solito, di deleghe in bianco al governo, che potrà così fare e disfare a piacimento, senza temere alcun controllo e nessun contrappeso.

Ma stavolta lo strappo non sarà indolore. Si tratta di andare allo scontro frontale con tutto il mondo della scuola, di allargare una ferita già sin troppo estesa nel corpo del Pd. Si tratta anche di aprire un conflitto con i vertici istituzionali. Grasso è contrario alla fiducia, e lo ha detto apertamente. Ma il colpo di mano non piace affatto neppure a Sergio Mattarella che, per la prima volta da quando è capo dello Stato, ha fatto arrivare a palazzo Chigi segnali di aperta insoddisfazione.

C’è persino il rischio che anche gli elettori la prendano storta. Ecco perché Renzi e i suoi ministri martellano tanto sulle responsabilità delle opposizioni nella eventuale mancata assunzione. I precari già erano ostaggi: adesso servono anche a mascherare la prepotenza di Matteo Renzi.