Dopo lo sciopero generale dei sindacati contro il Ddl scuola, ieri Renzi si è premurato di raccogliere le idee attorno a un tavolo, allontanando il sospetto che 500 mila persone abbiano manifestato contro di lui e il suo partito. Si è mostrato aperto e dialogante, come conviene a chi aspira al comando assoluto e a «togliere un po’ di polvere da questo paese». Cioè a cancellare il ruolo dei sindacati, imporre la scuola-azienda, il finanziamento delle paritarie e consolidare la leggenda per cui la «Buona Scuola» cancellerebbe il precariato, mentre invece rimuove l’esistenza dei precari.

Tornato dalla visita elettorale a Bolzano, dove ha lanciato il suo personale modello di scuola ispirato a quello sudtirolese, per due ore il premier si è confrontato con la ministra dell’Istruzione Giannini (Pd), i parlamentari renziani che seguono i lavori in commissione sul Ddl, l’immancabile ministra Boschi. Esito del mini-vertice: il vicesegretario Pd Guerini ha chiesto ai sindacati di incontrarsi oggi al Nazareno alla luce di un’apertura, formale e non sostanziale, del «partito della Nazione» rispetto alle richieste di modifica al testo, ma non di un suo ritiro in vista di un ripensamento totale della riforma.

Colpito nel vivo dalle manifestazioni di massa di martedì, il Pd ieri si è affrettato a sostenere che è aperto al dialogo, ma la linea non cambia. Il preside resterà in possesso dei super-poteri, ma sarà affiancato dal consiglio d’Istituto nella definizione del Pof triennale e da un comitato di valutazione nominato dal collegio dei docenti nel caso dell’assunzione diretta dei docenti funzionali alla sua idea di «offerta formativa» triennale. Come in una selezione del personale, curata da un’agenzia interinale, ai docenti sarà chiesto di presentare una domanda di auto-candidatura per ottenere il loro agognato posto di lavoro. Nei fatti, il potere leaderistico del preside-manager resta intatto. In compenso sarà rafforzato il ruolo ispettivo e di profilazione dei «candidati» docenti che, vale la pena ricordare, sono funzionari pubblici pluri-abilitati e con anni di esperienza nell’insegnamento. Nel dispositivo di gestione del personale (lo «staff», la «squadra» del preside-manager) questo non conta. La valutazione sarà effettuata in base ai «meriti» personali, quelli che saranno giudicati tali dal preside e dal suo comitato di valutazione.

Questa è la grande trasformazione neoliberale annunciata dal governo, ma contrastata dai sindacati. Questi ultimi sembrano averne compreso le conseguenze: la fine del contratto nazionale (fermo da sette anni), ma soprattutto la cancellazione della libertà di insegnamento convertita in un servizio di formazione per la scuola-azienda. Dal modello collegiale, cooperativo e relazionale della scuola si passerebbe così ad un modello autoritario che usa la valutazione come un potentissimo strumento di centralizzazione del potere e di alienazione della libertà individuale. Anche gli studenti verranno coinvolti nel dispositivo di controllo quando i quiz Invalsi, e l’intera didattica, sarà integrata nella trasformazione generale. Se i sindacati accetteranno di contrattare su questo punto, cederanno su tutto il resto, aprendo definitivamente le porte al neoliberismo già instillato nella scuola dalla riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 approvata dal centrosinistra.

La commissione cultura alla Camera ha accantonato l’esame degli articoli 6, 7, 9, 12 e 15 del Ddl, cioè il cuore della riforma, in attesa che il Pd decida sul da farsi. Il governo non si occuperà delle trattative lasciando al suo braccio politico le trattative con i sindacati. Uno schema d’azione criticato ieri da Sinistra Ecologia e Libertà. «È il governo a dovere interloquire con la scuola, non il Pd – sostiene il coordinatore Sel Nicola Fratoianni – E per farlo davvero deve sospendere l’iter in commissione». Sel ha raccolto le istanze, tra gli altri, della Flc-Cgil e chiede anche le dimissioni della ministra dell’Istruzione Giannini: «La manifestazione del mondo della scuola l’ha di fatto sfiduciata. Giannini è stata commissariata dal Pd» ha detto Arturo Scotto, capogruppo Sel alla Camera.