Nessuno ci crede, ma la speranza è l’ultima a morire. Due di loro (Mauro Carlo Zanella e Rosalba Falzone, Il Manifesto 7 luglio) con coraggio si sono messi in sciopero della fame e nelle prossime ore sosteranno in camper nei pressi del Quirinale a Roma chiedendo al presidente della Repubblica di essere ricevuti per esporre le ragioni del movimento della scuola contro la riforma Renzi-Giannini. Confessano anche un’ambizione: che il presidente rimandi il Ddl alle camere, dando così la possibilità di riaprire la discussione tagliata di netto dal governo con la fiducia al Senato e l’approvazione definitiva di ieri. A loro sostegno partirà una lettera dall’associazione «Per la scuola della Repubblica» dove si analizzano tutti i profili di incostituzionalità della «Buona scuola»: l’aggiramento dell’articolo 97 che priva la scuola della possibilità di garantire l’imparzialità dell’insegnamento. Tra le altre cose, la figura criticatissima del «preside-manager» potrebbe dare voce anche a furori ideologici che peseranno nella scelta dei docenti.

La «chiamata diretta» dei docenti da parte del preside lede l’articolo 33 che afferma il principio della libertà di insegnamento, mentre il meccanismo discrezionale del «premio al merito» (cioè l’aumento dello stipendio di pochi euro) lede anche l’articolo 34. Senza contare le deleghe in bianco al governo, su questioni sostanziali della riforma, che il parlamento ha votato alla cieca. A Mattarella questo, e altri appelli, chiedono di fare il «garante» e non il «notaio» della costituzione e quindi di «non firmare».

Dello stesso avviso è il giudice Ferdinando Imposimato, molto seguito nei dibattiti sulla scuola tra i docenti, che si è cimentato in una lunga lettera in dieci punti in cui si dichiara scettico sulle possibilità che Mattarella non firmi la legge. Evocando un «momento grave per le sorti della democrazia e della libertà», Imposimato riassume tutte le violazioni costituzionali già note e sottolinea anche quella della sentenza della corte di Giustizia europea che obbliga il governo italiano a stabilizzare i docenti precari che hanno insegnato con un contratto a termine per più di 36 mesi negli ultimi cinque anni. Le 102 mila assunzioni di Renzi rispondono solo in parte alle esigenze di una platea pari, forse, a 100 mila persone in più. Tra i punti c’è anche la critica allo «School Bonus» che prevede benefici fiscali a chi versa denaro alle scuole. Una norma che, ad avviso di Imposimato, contrasta con almeno tre articoli della Costituzione, compreso il 53 per cui tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.

Non è escluso che queste osservazioni convergeranno nella raccolta firme per un referendum abrogativo. Una simile ipotesi l’ha avanzata Pippo Civati. Piero Bernocchi (Cobas) critica «partiti e partitini, esistenti o in formazione, che cavalcano il movimento della scuola. Gli esiti dei referendum sono incerti, basti vedere quello dell’acqua. E poi vi sono difficoltà nell’identificare le parti abrogabili del Ddl per l’intreccio con norme finanziarie e fiscali. È un lavoro complesso che ha bisogno di una discussione profonda».