Di una cosa possono essere certi gli studenti e le studentesse che sono obbligati a fare 150 ore negli istituti tecnici e 210 negli istituti professionali di «alternanza scuola lavoro» ribattezzata con l’acronimo che ha il suono di uno sputo: «Pcto»: «Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento». Di scuola si può morire com’è accaduto al diciottenne Lorenzo Parrelli il 21 gennaio, ultimo giorno del suo stage alla Burimec di Pavia di Udine, o a Giuseppe Lenoci, 16 anni morto il 19 febbraio in un incidente stradale a 100 chilometri da casa. Oppure si può restare gravemente ustionati com’è accaduto l’altro ieri a uno studente di 17 anni in una carrozzeria di via Zuegg a Merano, in provincia di Bolzano. Resta ancora da chiarire se fosse impegnato in un «percorso» di formazione al lavoro oppure in un «Pcto».

DAI PRIMI ACCERTAMENTI sembra che l’infortunio sia avvenuto in una situazione di lavoro «ordinario» e non di apprendimento in contesto lavorativo, come invece dovrebbe essere in uno stage o nell’«alternanza». Il giovane si trovava in una cabina forno con le porte aperte e stava pulendo il pavimento quando, per cause da chiarire, sarebbe stato investito da un’improvvisa fiammata partita dalla macchina pulente che stava usando. I detergenti potrebbero essere entrati in contatto con l’impianto elettrico e avrebbero innescato una reazione chimica. Insieme a lui si trovava un operaio, o un cliente, di 36 anni. Lo studente è stato ricoverato a Murnau, in Baviera (Germania). L’uomo nella clinica universitaria di Innsbruck in Austria. Entrambi non sarebbero in pericolo di vita.

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DI UN’ALTRA COSA possono rendersi conto gli studenti che frequentano le scuole tecnico-professionali e gli altri istituti di formazione al lavoro. Loro non sono uguali ai coetanei che hanno scelto i licei dove l’«alternanza scuola-lavoro» è stata diminuita a 90 ore all’anno quando al ministero dell’Istruzione c’erano i Cinque Stelle (ministro Fioramonti). Un liceale, infatti, non viene mandato in un forno dove può essere ustionato, in una fabbrica dove può essere schiacciato da una putrella di 150 chili o su un furgoncino a 100 chilometri dalla residenza che si schianta contro un albero.

CIÒ A CUI FORMA questo sistema di sfruttamento è, dunque, il classismo. C’è una differenza di classe anche tra chi corre rischi mortali e chi invece viene dirottato verso un altro sistema della precarietà, eventualmente quello dell’economia dei servizi dove si presume vanno formati soggetti che si adattano alle richieste di un capitalismo che sfrutta di più le capacità linguistiche, relazionali, computazionali o, più semplicemente, le attitudini tacite e le predisposizioni informali che derivano da un contesto familiare e sociale diverso.

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IN SECONDO LUOGO il sistema punta alla formazione del lavoratore precario che si fa concavo e convesso rispetto all’autorità (dell’impresa, e non solo), più che solo al volere del singolo imprenditore. Questo avviene già in età adolescente ed è basato su una strategia: l’introiezione di una mentalità subalterna, dell’adattamento al comando e della messa in pratica del principio morale neoliberale: prepararsi a un rischio ontologico che può anche a mettere a rischio la vita e non solo l’occupazione. Tale rischio passa dalla formazione al lavoro (per i lavoratori giudicati «esecutivi») e da quella al lavoro di chi cerca un lavoro (per i lavori pensati come «intellettuali»). Per tutti vale lo stesso principio auto-regolatore in un’economia dove la precarietà è massima e da essa dipende la protezione della vita. Tutto questo è giudicato «naturale» nel sistema di istruzione pensato come anticamera alla «vera» realtà, il dominio dell’impresa, e non come premessa a democratizzare la democrazia, dunque alla creazione di un’autonomia individuale e collettiva.

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«LE VOSTRE mani sono sporche di sangue» dicono gli studenti dell’Uds che annunciano nuove mobilitazioni. Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista chiedono l’abolizione dell’«alternanza». Il sindacato Usb chiede la« riattivazione della didattica dei laboratori nelle scuole, un aumento del tempo scuola e un investimento sul personale». Flc Cgil e la Cgil chiedono di annullare l’obbligatorietà dei «Pcto» che inducono le scuole a una selezione non approfondita delle aziende dove vengono mandati gli studenti». Poco o nulla di tutto questo sarà fatto dal governo. In generale nessuno intende modificare la divisione sociale del lavoro. Dopo avere rivolto un pensiero al «ragazzo di Merano» e avere ribadito che il numero tollerabile dei morti sul lavoro è «zero, non di più», ieri il ministro dell’Istruzione Bianchi ha ribadito la volontà di tirare dritto. In questo modo il «comparto» delle scuole tecniche o di formazione prepara al «lavoro» così com’è. Si potranno estendere alla scuola le regole di sicurezza sul lavoro. A tal fine è stato annunciato l’ennesimo accordo con il ministero del lavoro.

ESTENDERE le «regole di sicurezza» che non assicurano nessuno in un mercato aleatorio e in una società dell’indifferenza rispetto alla tutela reale e concreta dei diritti e della vita messa al lavoro. Nel 2022, a causa dei bonus edilizi e in generale della «ripresa» dopo la pandemia che non è finita per decreto, né perché gli orridi talk show non ne parlano più nel loro circo. Il Pil è stato falcidiato dalla nuova crisi, gli incidenti mortali e gli infortuni sul lavoro sono aumentati. Per l’Inail ci sono stati 189 omicidi del lavoro nei primi 3 mesi del 2022: 4 in più rispetto al 2021. Le denunce di infortunio si sono moltiplicate del 50,85%: 194.106.

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RESTA INTATTO l’atroce paradosso che caratterizza il sistema: studenti che non sono a scuola, e non sono lavoratori, possono morire o essere feriti su un lavoro che non è un lavoro. Ai ragazzi non resta che apprendere a vivere in un paese che li vuole aspiranti martiri del lavoro. Si adatteranno?