C’è chi prende in ostaggio decine di persone in qualche supermercato e c’è chi come ostaggio ha in pugno le vite di 100mila insegnanti, e non esita ad usarle. Come da berlusconiano modello, Renzi sceglie lo studio di Porta a Porta per sferrare il suo contrattacco, adoperando i 100mila precari che avrebbe dovuto assumere nel contesto della riforma «Buona scuola» come scudi umani. Niente da fare, se ne riparla l’anno prossimo: «Con tremila emendamenti in commissione i 100mila insegnanti non si assumono entro l’anno. Sta nei fatti. Se ci sono gli emendamenti, se tutti sono contrari, sembra che sia io l’unico a volerli assumere».

Non è una bugia ma un intero mazzo di bugie sintetizzate con mirabile concisione. In commissione istruzione, al Senato, l’ostruzionismo non è il vero problema. Se il voto è slittato di settimane è solo perché così hanno voluto il governo e il Pd, per stemperare le divisioni interne. Da giorni Matteo Renzi aveva deciso di rinviare quanto più possibile il passaggio in aula del disegno di legge, tanto che la decisione di modificare il calendario e anticipare la riforma Rai era già stata presa. Troppo incerta la situazione, troppo esigui i margini di maggioranza per sfidare il Parlamento su un provvedimento tanto importante.

Ma la spinta decisiva è arrivata quando a palazzo Chigi sono stati portati i conti sui voti in commissione istruzione. Inutile girare e rigirare il pallottoliere: la maggioranza non c’è, essendo decisivi due dissidenti Pd, Walter Tocci e Corradino Mineo. Dopo la bocciatura in commissione Affari costituzionali nel parere sulla costituzionalità del ddl, governo e maggioranza, al momento, sarebbero quindi destinati a subire nuove sconfitte anche nel merito del provvedimento. Un pessimo viatico per l’aula, che renderebbe impraticabile il solito voto di fiducia. Infine, quand’anche ci fosse un ostruzionismo in realtà inesistente, Renzi potrebbe imboccare una via semplice per risolvere il problema: stralciare il capitolo relativo alle assunzioni, varare un piano pluriennale per assumere tutti i precari invece di lasciarne a spasso 100 mila e passa e, allo stesso tempo, assumere la prima ondata di insegnanti con un decreto.

Perché il premier preferisca invece raccontare di essere costretto a sacrificare le assunzioni suo malgrado è evidente. Sul piano della propaganda ha tutta la convenienza a fingere che la mancata assunzione sia dovuta all’opposizione parlamentare e sociale, a tutti quelli che, in Parlamento e fuori, contrastano la legge. Ma soprattutto quelle 100mila assunzioni verranno buttate sul piatto della bilancia nel prossimo round dello scontro, ai primi di luglio, col preciso obiettivo di costringere l’opposizione parlamentare e il sindacato a cedere. E’ lo stesso generalissimo ad annunciare, sempre dall’intramontabile salottino di Vespa, il piano di battaglia: «Ai primi di luglio faremo una Conferenza nazionale sulla scuola. Li chiamiamo tutti: sindacalisti, presidi, docenti, famiglie. Ma una volta ascoltati tutti si chiude perché in Italia, dopo anni, qualcuno decide». A quel punto, il ricatto dei precari tornerà utilissimo.

L’attacco sulla scuola è solo un tassello della controffensiva che il premier, messo alle strette da una serie di rovesci uno dopo l’altro, dalle elezioni all’immigrazione, da Mafia capitale alla scuola, intende sferrare. Il passaggio successivo sarà quasi certamente la defenestrazione del sindaco Marino. «Potremmo dover sacrificare Roma per salvare il governo», avrebbe confidato il gran capo ai fedelissimi nei giorni scorsi. Poi una raffica di attacchi sempre più duri: «Bisogna tornare dal Renzi 2 al Renzi 1, e col Renzi 1 al posto di Marino non starei tranquillo», concludeva la sua intervista di ieri alla Stampa, premesso che «nel 2016 si vota nelle grandi città, forse anche a Roma». Poi il colpo finale, dal solito Vespa: «Marino è perbene, ma chi è onesto deve anche essere capace».

In realtà la decisione è già presa, almeno al 90%, ma non si procederà subito perché, non disponendo ancora di un candidato valido, bisogna evitare che nella Capitale si vada a voto in ottobre. Due i motivi che spingono Renzi: il dubbio che, nonostante si dica certissimo del contrario, la relazione del prefetto Gabrielli possa riservare qualche brutta sorpresa. Nel caso, bisognerebbe essere pronti ad anticipare lo sgambetto. Ma soprattutto il premier si rende conto che difendere il sindaco di Roma potrebbe costargli popolarità e consenso nell’intero Paese a tutto vantaggio di chi quello scandalo sta cavalcando: l’M5S.