È arrivata davanti ai cancelli e ai portoni chiusi di teatri, musei e cinema milanesi la campagna «A Natale regalate la scuola» lanciata dal comitato Priorità alla Scuola di Milano. Dal Parenti al Piccolo, dall’Anteo all’Atir sono stati attacchinati cartelli e proiettate video-installazioni per rilanciare una doppia rivendicazione: aprire i luoghi dove si impara, si recita, si proietta. I luoghi più sicuri che sono stati i primi a chiudere, gli ultimi a riaprire, per restare chiusi al momento a tempo indeterminato. La rivendicazione è riemersa dopo il cortocircuito provocato dal governo che ha riorganizzato la riapertura dello shopping natalizio con il «cashback» da carta di credito.

«I PICCHI pandemici prodotti dalle aperture indiscriminate di attività commerciali, di svago o sportive in estate e in vista del natale sono compensati dalle chiusure delle scuole, un prezzo molto alto per le giovani generazioni» denuncia «Priorità alla scuola». Il movimento chiede il potenziamento immediato di spazi, trasporti pubblici e monitoraggio sanitario per garantire l’apertura in sicurezza il prossimo sette gennaio 2021 per gli studenti che, in sostanza, sono a casa da marzo 2020. Ieri il generoso attivismo milanese ha organizzato una protesta davanti a Palazzo Pirelli, sede del Consiglio regionale della Lombardia. Insieme hanno chiesto garanzie che governo, regione ed enti locali non sembrano al momento capaci di fornire.

L’IMPAZZIMENTO creato dal Dpcm del 3 dicembre, quello che sembra stia spingendo ad adottare nuove misure restrittive, sta di nuovo producendo i suoi effetti sulla scuola. Mentre il governo e gli altri livelli istituzionali erano prgionieri delle loro ingiunzioni paradossali il direttore generale della prevenzione al ministero della salute Gianni Rezza ha fatto spazzato via le fumose certezze sull’anno scolastico in corso. «È ancora presto – ha detto -per dire se potremo o non potremo riaprire completamente le scuole» dopo l’epifania. Parole che hanno portato ieri lo scompiglio a tutti i livelli perché sono il segno della già comprovata incapacità di garantite un sistema sanitario in grado di fare tamponi rapidi agli studenti, al personale e creare un sistema di tracciamento del contagio da Covid nelle famiglie. In queste condizioni organizzare un sistema di trasporti per scaglionare entrate e uscite sembra fantascienza. E lo sarà ancora di più nell’annunciata «terza ondata» del Covid. Ieri il viceministro dell’economia Antonio Misiani ha detto che nella legge di bilancio non ci saranno ulteriori risorse per il trasporto pubblico locale. La questione è stata rinviata ad altri provvedimenti finanziabili con lo scostamento di bilancio previsto per il 2021.

LA MINISTRA dell’Istruzione Lucia Azzolina continua a rassicurare sull’obiettivo del 7 gennaio e sostiene che “si sta lavorando insieme alle regioni, da un lato per i trasporti, dall’altro lato per tamponi e test rapidi. Sono già partiti i tavoli con i prefetti”. Ma tutto questo non sembra sufficiente agli attori della politica scolastica. Circola, a dir poco, un grande scetticismo. Alla base di questo sentimento ci sono i sei mesi di chiusura totale da marzo a settembre. Promettere di fare nelle prossime tre settimane quello che non è stato fatto allora è irrealistico.

«NESSUNO ha la bacchetta magica – dice Rino Di Meglio (Gilda) – ma è una perdita ulteriore di tempo prezioso pensare che la soluzione possano essere i tavoli istituzionali, la cui inutilità è stata ampiamente dimostrata dalla storia recente». «Non dovrebbe essere competenza delle regioni decidere quando le scuole in presenza e quando a distanza – sostiene Francesco Sinopoli (Flc Cgil) – Il sistema dei tracciamenti è fallito e non si è riusciti neanche a creare una corsia preferenziale per i tamponi. La legge di bilancio è insoddisfacente. Non ci sono risorse per la riduzione degli alunni in classe, né quelle per il rinnovo dei contratti scaduti da due anni». «Se i trasporti non sono in grado di reggere il volume di traffico degli studenti e le scuole sono costrette a differenziare gli orari di ingresso e di uscita, è impossibile rispettare il criterio del 75% in presenza. Viene scaricato sulle scuole un problema che non avranno alcuna possibilità di risolvere» aggiunge Lena Gissi (Cisl scuola). «Basta con lo sfogliare la margherita dell’ apre-non apre – dice Pino Turi (Uil scuola) – Servono certezze».