«Se il garante pensa di mettere in discussione il diritto allo sciopero, sappia che la reazione sarà dura. Noi vogliamo scioperare anche nel periodo degli scrutini, nel rispetto della scuola, degli studenti e delle famiglie. Per questo non accettiamo ricatti». Questa è la risposta, determinata, del segretario Flc-Cgil Domenico Pantaleo al Garante degli scioperi Roberto Alesse e al presidente del Consiglio Renzi secondo il quale «la stragrande maggioranza degli insegnanti sono persone serie e perbene e non metterebbero a rischio i propri ragazzi e il lavoro degli insegnanti con il blocco degli scrutini». L’assemblea organizzata dai sindacati Flc, Cisl e Uil Scuola, Snals e Gilda di Roma e Lazio ieri in piazza del Pantheon si è chiusa con una certezza: lo sciopero ci sarà e sarà duro. A meno che il governo e il Pd non cambino profondamente la riforma della scuola, accettando di ridiscuterla da cima a fondo.

I toni dei sindacalisti, trasportati dalla base degli insegnanti definita più volte dal palco «inferocita» contro Renzi, non hanno lasciato alcun dubbio. «Conosciamo perfettamente la legge che regolamenta gli scioperi – ha detto Di Menna (Uil Scuola) – Si può fare slittare gli scrutini per un massimo di quattro giorni. Lo sciopero si fa nel rispetto della legge. Il governo ha creato uno scontro con la scuola e quindi con il paese. Lo sciopero degli scrutini è una forma di lotta necessaria che il governo non può evitare. Andremo avanti». Quando la riforma sarà legge – ha avvertito il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo – per il governo la situazione diventerà ingestibile. «Possono votarla – ha detto – ma nella scuola quella riforma non sarà mai applicata. Non siamo disponibili a fare un accordo comunque sia: vogliamo modifiche profonde al Ddl». Da settembre Renzi affronterà dunque un conflitto molecolare ancora più intenso, in ogni classe, in ogni istituto, per tutto il prossimo anno scolastico.

Ecco come sarà effettuato il primo sciopero degli scrutini dal 1989 quando i docenti si astennero per 15 minuti a testa. Stavolta è probabile che i sindacati, in maniera unitaria, si asterranno per ventiquattr’ore facendo slittare gli scrutini diquattro giorni fino all’ultimo giorno utile, quello prima dell’esame di maturità (a Roma il 16 giugno). È una forma di protesta clamorosa e gli equilibri sono delicati. I ragazzi inizieranno l’esame senza conoscere il voto di ingresso. In attesa di un definitivo chiarimento sulle modalità dello sciopero, la mobilitazione continuerà in maniera unitaria a partire da lunedì a Roma a piazza Montecitorio e in tutte le città italiane. Il 18 e 19 maggio è previsto uno «speakers’ corner». Mercoledì 20, giorno del via libera della riforma alla Camera, in tutti gli istituti della Capitale sarà indetta un’assemblea di tre ore dalle 9 per permettere di raggiungere il presidio a Montecitorio: «la piazza della scuola italiana» la chiamano i sindacati. L’idea della Gilda è organizzare una «catena umana» attorno alla Camera. Lo slogan: «Riformiamo la scuola, ma riformiamola insieme». Il 28 maggio a Roma sarà organizzata un’altra manifestazione di protesta mentre le commissioni al Senato inizieranno a lavorare sul Ddl.

Al presidio di ieri al Pantheon hanno partecipato delegazioni di parlamentari Pd, 5 Stelle, Sel dopo che è stata accordata l’interruzione di un’ora della discussione richiesta dal capogruppo Sel alla Camera Arturo Scotto. Tra gli altri c’erano i deputati della minoranza Dem, Alfredo D’Attorre e Stefano Fassina. Quest’ultimo, prima di intervenire dal palco, è stato contestato da alcuni docenti che hanno urlato: «La sinistra non si svende». Contestate duramente anche le deputate renziane Anna Ascani e Simona Malpezzi: «A casa! A casa!». In piazza, tra le telecamere del «circo mediatico» c’era la presenza imponente di Alessandro Di Battista (Cinque Stelle), Giuseppe Civati che ha già lasciato il Pd, Fabio Rampelli di Fdi, e un folto gruppo di bersaniani, tra i quali Epifani, Stumpo, Giorgis, Enza Bruno Bossio, Danilo Leva. E poi Gianni Cuperlo. Seduto in una poltrona di vimini, chiesta in prestito da un bar, Marco Pannella dei Radicali fumava un sigaro: ««Renzi alla lavagna? – ha detto – Ma chi cazzo è? Sono troppo vecchio, io Renzi non lo conosco». In una piazza distratta dall’andirivieni dei turisti sorpresi, ieri era palpabile la distanza tra il governo, il parlamento e il mondo maggioritario di una scuola inquieta e pronta al conflitto.