Agli studenti che dovrebbero «mandarlo a casa» per gli orari ridotti, la mancanza di spazi e il record di precariato con i quali la scuola ha riaperto lunedì in 12 regioni il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ieri ha detto che avranno il «diritto» di farlo se il governo «perderà la sfida del Recovery Fund». All’Istituto Tecnico e Liceo Classico Roberto Battaglia di Norcia, completato per l’interessamento del premier dopo le proteste a gennaio da parte del personale e degli studenti che per anni hanno vissuto la scuola nei container, Conte non si è soffermato sul fatto che un simile «diritto» dovrebbe essere fatto valere nel caso in cui il suo governo non destinerà il 20% dei 209 miliardi di euro (41,8 miliardi) a tutto il ciclo dell’istruzione, dalla scuola infanzia alla ricerca universitaria, come richiesto dal movimento «Priorità alla scuola» e dai sindacati che manifesteranno sabato 26 settembre a piazza del Popolo a Roma dalle 15. Ieri la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha continuato a complimentarsi per la capacità del governo di avere fatto ripartire la scuola: «Il bilancio è buono, rispetto a una ripartenza che non era per niente scontata» ha detto.

Un sondaggio condotto da Skuola.net su 4 mila studenti delle superiori sostiene che una scuola su dieci non è riuscita ad attrezzarsi in tempo con le norme anti-Covid e ha posticipato l’apertura, nella migliore delle ipotesi, nei prossimi giorni. In altri casi tutto sarà rinviato a dopo le elezioni e al referendum di domenica 20 e lunedì 21, insieme agli alunni delle regioni che hanno spostatola data d’inizio a giovedì 24. È la punta di un iceberg che rende problematico il «bilancio positivo» tratto dal governo. A sentire i sindacati la celebrata «ripartenza» non ha risolto i problemi storici del precariato. «Sono quasi 150 mila le cattedre ancora vacanti. Gli orari ridotti, le lezioni a giorni alterni, le difficoltà di integrazione dei disabili i problemi più significativi. Il Recovery Fund è un momento fondamentale per tutti, non si può gestire in solitudine» ha dettoMaddalena Gissi (Cisl Scuola) alla ministra Azzolina. «Nella pianta organica dei docenti 60 mila posti sono rimasti vuoti dopo le operazioni di nomina e si stimano che manchino 60-70 mila posti sul sostegno. Le supplenze dovrebbero essere come lo scorso anno: circa 180 mila annuali. Questo anno, in più, non sono state assegnati a insegnanti di ruolo 30 mila posti in più. Siamo intorno a 210 mila posti. Il Miur si rifiuta di rendere pubblici dati che invece dovrebbe avere e dare»» ha aggiunto Pino Turi (Uil Scuola).

Dopo sei mesi di chiusura delle scuole è sempre più chiaro che il governo si è mosso in ritardo. «Le difficoltà che sta incontrando il paese sono dovute al fatto che il governo ha sottovalutato la complessità della riapertura della scuola e le risorse arrivate solo ad agosto potevano essere stanziate subito, già nel primo scostamento di bilancio, a marzo. Poi sono venuti al pettine i problemi strutturali che ci sono da sempre. Se avessero adottato la soluzione da noi prospettata per i docenti con 36 mesi di servizio oggi avremmo meno difficoltà. Il Recovery plan è la vera partita da giocare» – sostiene Francesco Sinopoli (Flc Cgil).

La questione della misurazione della febbre nelle scuole e non a casa che ha diviso la regione Piemonte guidata da una giunta di centrodestra e il governo ieri è finita al Tar. L’ordinanza regionale è stata impugnata da Azzolina. Il governatore Pd della Campania De Luca ha annunciato che fornirà i termoscanner a tutte le scuole del suo territor