Di corsa che più di corsa non si può. Oggi stesso la riforma della scuola arriverà nell’aula del Senato, senza passare per il voto della commissione Cultura e senza relatori. Domani sera arriverà il voto di fiducia sul maxiemendamento presentato ieri mattina dai due ormai di fatto ex relatori, Puglisi, del Pd, e Conte, di Ap.

Detto maxiemendamento non accoglie nulla delle richieste avanzate dal mondo dalla scuola e dalle opposizioni. Lo si capisce, ancora prima di leggerlo, quando il presidente Marcucci, un renziano da vecchia guardia, lo annuncia ai giornalisti, al termine di una inutile riunione della commissione. «Il maxiemendamento – giubila – contiene molte proposte dell’opposizione oppure emerse nella discussione». Qualcuno azzarda la domanda proibita: «Quali proposte dell’opposizione sono state accolte?». Il presidente, spiazzato, balbetta: «Insomma, sapete, è un emendamento di 40 pagine, affronta l’intera riforma. Impossibile dire così, sui due piedi, cosa è stato accolto e cosa no». Scusi presidente ma sul punto chiave, durata in carica e ruolo dei presidi-sceriffi, qualcosina è cambiata? «Sulla durata proprio no. Sul ruolo è stato chiarito che il preside sarà responsabile dei risultati del suo istituto». Per fortuna! Si pensava che il preside dirigesse con poteri assoluti, ma la responsabilità fosse poi del bidello. Gli sgravi fiscali a favore delle scuole parificate, cioè l’altra richiesta determinante di modifica, naturalmente restano tutti. Le deleghe in bianco al governo sono un’infinità: ben nove, con diritto di mettere mano a quasi tutto senza dover chiedere il consenso di nessuno.

Uno dopo l’altro, i membri della commissione d’opposizione, Centinaio, Lega, Petraglia, Sel, Montevecchi, M5S, Bocchino, ex M5S passato al Gruppo Misto, escono dall’aula, ma del maxiemendamento possono dire ben poco. Gli è stato consegnato pochi minuti prima di fine seduta. Per quel poco che hanno visto, le modifiche sono centellinate e non tutte positive. Una parte della riforma, inclusa la chiamata diretta dei professori da parte dello sceriffo, pardon del dirigente d’istituto, slitterà al 2016. I 100mila precari usati come scudi umani da Renzi saranno assunti. Una buona metà, però dovrà spostarsi di provincia o di regione. Dati alla mano il senatore Bocchino dimostrerà poi che quelle assunzioni erano comunque necessarie e che la trovata di Renzi, secondo cui assumerli senza varare la riforma complessiva sarebbe stato impossibile, è solo una delle innumerevoli bugie di cui questa vicenda estremamente umiliante per il parlamento è costellata.

«I tempi dovranno essere brevi», conclude Marcucci uniformandosi al coro diretto dal gran capo.
E’ l’eterno alibi dei 3mila emendamenti, che in realtà sono 2mila, 334 dei quali presentati dallo stesso Pd, e che, considerata la decadenza degli emendamenti affini, si sarebbero potuti votare benissimo se governo e maggioranza non avessero messo in opera un vero e proprio ostruzionismo per evitare il voto in commissione. Ma niente paura: «C’è tempo fino alle 14 di domani (cioè di oggi) per presentare subemendamenti». Davvero? Vedi mai si votasse qualcosa. Macché. «Era la solita pantomima» sintetizzerà poi la presidente del gruppo misto Loredana De Petris, di Sel. Infatti nella conferenza dei capigruppo del pomeriggio il governo chiarisce che di subemendare e votare in commissione non se ne parla nemmeno. Si va dritti in aula, con termine fino alle 19 per subemendare. Trattasi in realtà dell’ennesima truffa. Il voto di fiducia è già certissimo, dunque l’ipotesi di modificare anche una virgola del maxiemendamento è fuori discussione.

La Lega lascerà l’aula, come ormai fa in occasione di ogni voto di fiducia. Le altre opposizioni decideranno oggi, e probabilmente lasceranno l’aula anche loro. Resta incerta la posizione dei dissidenti Pd, ancora una volta bastonati e umiliati dal premier-segretario Renzi. Stefano Fassina ha detto che lui la fiducia non la voterebbe, ma è deputato. Dalla scelta di senatori come Walter Tocci e Corradino Mineo sul voto di fiducia si potrà valutare quanto profondo è lo strappo all’interno del Pd. La vicenda che si concluderà domani nel peggiore dei modi è stata infatti segnata come nessun altra in precedenza dall’aperto disprezzo di Renzi sia per i soggetti sociali, per il parlamento e figurarsi poi per il suo partito.