Tra le ferite ancora aperte legate alla pandemia Covid-19 c’è quella relativa alla scuola: luogo del diritto allo studio e alla socialità per milioni di giovani in Italia.
Come sarà il rientro a scuola? In quali spazi? Con quali orari? Con o senza mensa?

Ed è proprio sul servizio mensa che si è concentrata l’attenzione di una rete di genitori e associazioni per contestare alcune delle soluzioni proposte per la prevenzione del Covid.

Il Ministero dell’Istruzione ha aperto infatti alla possibilità di ricorrere a lunch box, monoporzioni e “menu semplificati”, come soluzioni residuali per le scuole che non siano nelle condizioni di garantire il normale servizio. Ipotesi non troppo remota viste le mille difficoltà che gli istituti stanno affrontando in termini di spazi disponibili e di mancanza di fondi per adeguarli. Le monoporzioni sigillate non sembrano essere una soluzione. Gli esperti sanitari confermano che gli imballaggi usa e getta non sono affatto più sicuri di quelli riutilizzabili e, se si rispettano le basilari regole di igiene, anche la distribuzione di prodotti sfusi è assolutamente sicura. Ma se, nonostante i recenti chiarimenti del Ministero, fossero molte le scuole costrette a scegliere questa soluzione, quali sarebbero gli impatti?

Il primo riguarda certamente l’enorme quantità di plastica monouso che ogni scuola produrrebbe, e che il comune di riferimento dovrebbe smaltire. Altro aspetto è quello della qualità del cibo: piatti che rischiano di essere preparati e confezionati anche molto tempo prima di essere consumati lasciano poco spazio a ingredienti freschi, o anche semplicemente al gusto, come dimostrano i primi test svolti in alcuni centri estivi.

Alla qualità è strettamente connesso il tema della salute: è infatti noto come i cibi ultraprocessati, più “semplici” da conservare e quindi probabilmente più frequenti nei “menu semplificati” abbiano “un basso valore nutrizionale e alti tassi di grassi saturi, zuccheri raffinati, sale e additivi chimici” per usare le parole di Graziano de Silva, ex direttore Generale della Fao.

Terzo aspetto quello delle materie prime. Soluzioni di questo tipo aprono alla preparazione dei cibi in centri cucina industriali, con ricadute negative anche in termini occupazionali, rendendo più complicato il rispetto anche solo di quei Criteri Ambientali Minimi (Cam), vincolanti per la Pubblica Amministrazione, che puntano a una maggiore valorizzazione delle filiere corte, delle produzioni biologiche e dei piccoli produttori locali. È infatti ormai noto come il nostro sistema agroalimentare sia una delle cause dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento, e come sia necessario uno sforzo, in primis dalle istituzioni, per abbandonare progressivamente prodotti derivati da agricoltura e allevamenti intensivi, prediligendo materie prime stagionali e locali, ottenute attraverso metodi ecologici. È chiaro come la mensa scolastica non sia solo cibo: è educazione alimentare e ambientale, e, in un contesto socio-economico sempre più povero, anche l’occasione per un pasto completo e salutare.

Come può entrare tutto questo in una monoporzione avvolta dalla plastica?

La ripartenza scolastica deve essere l’occasione per rafforzare le scelte sostenibili in ogni campo, anche in termini di trasporto scolastico (altro nervo scoperto di questi giorni), dedicando alla scuola pubblica i finanziamenti che merita anche per garantire un Pianeta in salute ai cittadini del futuro.

* Responsabile campagna agricoltura Greenpeace Italia