La marea del «No» alla riforma della scuola del partito democratico si è alzata. I primi dati dell’adesione allo sciopero unitario degli scrutini indetto da Flc-Cgil, Cisl e Uil scuola, Gilda e Snals, e poi da Cobas, Unicobas, Usb, Cub, attestano un gigantesco consenso dell’opposizione contro Renzi. Nelle prime due giornate di sciopero in Emilia-Romagna e in Molise, e nella prima giornata nel Lazio e in Lombardia, circa il 90% degli scrutini sono stati bloccati in maniera compatta. A Bologna, dove continua lo sciopero della fame a staffetta tra docenti, studenti e genitori contro il Ddl, la Flc-Cgil conferma l’adesione allo sciopero in moltissime scuole secondarie di secondo grado. Quasi tutti gli scrutini programmati sono stati rinviati.

Piero Bernocchi dei Cobas prova a tratteggiare un primo bilancio: «Gli iscritti ai vari sindacati della scuola non superano il 38% – afferma – e in questi giorni solo il 10% dei docenti ha collaborato, svolgendo gli scrutini, all’eutanasia della propria professione». Le ragioni di un’eccedenza rispetto al personale scolastico sindacalizzato vengono spiegate così dal leader dei Cobas: «La sciagurata prospettiva di un preside padrone che assume, licenzia, premia e punisce a suo insindacabile giudizio è il motivo prevalente dell’attuale mobilitazione». Viene espressa anche una preoccupazione rispetto alla degenerazione della professionalità del dirigente scolastico: «La concessione dei super-poteri distruggerebbe ogni collegialità negli istituti e un proficuo lavoro comune – continua Bernocchi – La nostra impressione prevalente è che la maggioranza dei presidi non voglia questi super-poteri e ne comprenda l’inapplicabilità e la negatività».

Le ipotesi di emendamenti proposte dal Pd non semplificano la situazione Anzi. C’è la possibilità che siano costretti a cambiare sede ogni tre o sei anni. Un’ipotesi che demolirebbe i loro progetti sulle scuole dirette. La scuola verrebbe trasformata in una comunità iper-verticistica diretta dal Miur. Una prospettiva che non piace a nessuno.

Il passaggio a vuoto del governo ieri in commissione affari costituzionali al Senato, dov’è stato bocciato un parere di costituzionalità del Ddl, ha rinvigorito l’opposizione negli istituti, studenti e tra i sindacati. «La scuola è il primo tema sul quale il governo arretra – afferma Danilo Lampis (Unione degli studenti) -Auspichiamo che si continui a osteggiare il Ddl, c’è bisogno di uno scatto di sincera democrazia per fermare l’autoritarismo del governo». Quanto all’«apertura» di Renzi sul Ddl, da discutere nei circoli Pd e non con la scuola e sindacati, le reazioni sono ispirate al principio: «Faccia pure, non andrà da nessuna parte». Di chiamata diretta dei docenti, questo è il punto, i sindacati non ne vogliono sentire parlare.

«Se è un espediente per fiaccare la protesta, Renzi sbaglia – afferma Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) – Stralci il decreto sulle assunzioni dei precari e sul resto del Ddl si prenda tempo per modificarlo radicalmente. Il testo è anche, per certi versi, incostituzionale». «Dubito che ci saranno grandi novità – sostiene Rino Di Meglio (Gilda) – Comunque se approvano la riforma ci daremo da fare per un referendum abrogativo e ci rivolgeremo alla corte costituzionale». Sorride, invece, Massimo Di Menna (Uil scuola), davanti «alla favola dell’ascolto» raccontata da Renzi. «Le ragioni di questa protesta così diffusa sono assolutamente chiare, così come sono chiare le proposte di modifica radicale dell’impianto. Questa “Buona scuola” è una storia nata male che rischia di concludersi peggio». Francesco Scrima (Cisl) chiede un nuovo confronto con il governo per affrontare le criticità del provvedimento.

L’Unicobas, che ha convocato presidi di protesta il 15, 16 e 17 giugno in Piazza delle 5 Lune, davanti al Senato, approfondisce gli elementi dell’«incostituzionalità» riscontrate ieri anche in commissione: «C’è una palese disparità di trattamento sulla titolarità d’istituto tra docenti e personale Ata – afferma il segretario Stefano d’Errico – nonchè rispetto al diritto alla permanenza sul posto di lavoro fra docenti e resto del pubblico impiego». «Intervenire per legge su molti istituti economici, normativi e di stato giuridico, significa anche violare unilateralmente, contro ogni norma del diritto del lavoro, il contratto nazionale vigente e tutte le norme poste costituzionalmente a garanzia della funzione docente in ordine alla salvaguardia della libertà di insegnamento». Quanto al preside-manager, gli viene attribuita «una discrezionalità assoluta che ricorda quei sistemi totalitari che mettono i docenti al proprio servizio».