Anno 2021, nel mese di aprile, un uomo muore legato al letto di un reparto di psichiatria di Livorno. Agosto 2019, Elena Casetto, di 19 anni, muore bruciata in un incendio, legata al letto del reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Novembre 2016, Antonio Scaletta, 52 anni, muore dopo un TSO in un reparto di psichiatria di un ospedale nel mantovano. Il 5 agosto 2015 è la volta di Andrea Soldi, 45 anni, a perdere la vita nel corso di un TSO maldestro eseguito nel centro di Torino. Potremmo non fermarci, tornare indietro al 4 agosto del 2009, quando è il maestro Franco Mastrogiovanni a morire dopo essere stato legato al letto del reparto di psichiatria di Vallo della Lucania (Salerno) per 87 ore. Ma non finisce perché prima di lui, è l’estate del 2006, Giuseppe Casu ancora una volta per un TSO con annessa contenzione al letto, trova la morte nel SPDC dell’ospedale di Cagliari. Nell’evidenza di una regressione culturale in atto, dove legare le persone è tornato a essere elemento paradigmatico di un approccio sempre più feroce e istituzionalizzante nei servizi psichiatrici italiani, e sempre più seduttivo per l’estetica narrativa contemporanea, sprofondata nel narcisismo dei suoi autori, pensiamo sia indispensabile tirare un freno a mano e provare rimettere gli occhi e la testa su alcuni testi chiave: da quelli di ieri a quelli di oggi. «Domani mattina, all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate voi ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza».

Basaglia e Ongaro
È il 1964 e Franco Basaglia decide di aprire con la lettera dei surrealisti rivolta ai direttori del manicomio, il suo intervento al I Congresso internazionale di Psichiatria Sociale di Londra, dal titolo La distruzione dell’ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione. Si tratta della prima traccia di un percorso pratico e concettuale che avrebbe restituito all’Italia non solo il ruolo di avamposto nella lotta al manicomio per la nascita e lo sviluppo di una psichiatria democratica ma anche di un discorso concreto che sarebbe durato più o meno vent’anni. Quel primo intervento pubblico entra nella pubblicazione curata da Franca Ongaro Basaglia che Einaudi dedica, nel 1981, agli Scritti (riediti oggi da «Il Saggiatore») dello psichiatra visionario, morto un anno prima.

Un testo che suggella la storia di un rapporto fervido e ricco tra l’editore torinese, grazie a Giulio Bollati, e lo psichiatra veneziano, che si è sviluppato a partire dalla seconda metà degli anni 60. La coralità dell’esperienza goriziana, meta di nuovi collaboratori (Antonio Slavich, Agostino Pirella, Giovanni Jervis, Letizia Comba, Lucio Schittar, Domenico Casagrande e, molto presto, Fabio Visentini, e Mario Tommasini, il vulcanico assessore alla Sanità di Parma che porterà poi Basaglia a dirigere il manicomio di Colorno) e di molti visitatori (tra cui Pier Paolo Pasolini e Giovanni Berlinguer), diventa materia costitutiva dei quattro testi fondativi editi da Einaudi (e oggi rieditati da Baldini+Castoldi) a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia. A cominciare da L’istituzione negata, pubblicata nel ’68. A seguire con La maggioranza deviante, pubblicato nel 1971, passando da Che cos’è la psichiatria? pubblicato nel ’73.

Un percorso collettivo
In questi testi si raccoglie e si rilancia al pubblico italiano il percorso collettivo e innovativo che andava sviluppandosi tra lo smantellamento del manicomio di Gorizia, di Colorno e infine di Trieste. Grazie all’apertura garantita dal presidente della provincia, Michele Zanetti, Trieste diventa lo spazio d’inveramento definitivo dell’esperienza di superamento del manicomio e di costruzione di un nuovo modo di guardare al concetto di salute, che coinvolge sì un percorso legato al mondo della salute mentale, ma che in realtà, più profondamente, riguarda una riflessione sull’individuo e sulla società.

L’intellettuale riluttante
La funzione dell’editoria, in questo processo di liberazione culturale progressiva, fu decisiva anche e soprattutto per la capacità di farsi ponte tra pensatrici e pensatori di respiro internazionale. Nel 1975, sempre Einaudi, pubblica, con curatela di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, Crimini di Pace: una riflessione diagonale dedicata all’indagine della funzione degli intellettuali e dei tecnici come custodi di istituzioni violente, che coinvolge autori come Jean Paul Sartre, Noam Chomsky, Ronald Laing, Michel Foucault, Robert Castel, Vladimir Didijer, Erving Goffman. È in questo testo che emerge un tipo completamente nuovo di intellettuale, non universale ma calato nell’istituzione, intellettuale che non si assume la delega del controllo del deviante ma si ingegna per riformare l’istituzione in cui opera o per distruggerla. Quel tipo di intellettuale di cui Basaglia è prototipo e che Pier Aldo Rovatti ha definito, nel suo volume omonimo, edito da elèuthera, «L’intellettuale riluttante». Quello che è accaduto, tra gli anni 60 e 70, è stata la capacità illuminata di un editore di raccogliere le tracce di un’esperienza viva che praticava una vera e propria idea di mondo e di accettare la forma, sempre collettiva e declinata in diversi registri linguistici, in cui questo racconto gli veniva proposto. Pubblicando parallelamente a questo, tutti gli strumenti culturali da cui quell’esperienza prendeva corpo e con cui dialogava (da Sartre a Foucault passando per Fanon, Levi, Husserl, Horkeimer, Adorno, Biswanger, Marx, Gramsci e tantissimi altri).

Ristampe
Oggi, al di là del dispiacere profondo che proviamo per come Einaudi, oltre ad aver abbandonato la ristampa di alcuni dei suoi autori fondativi, abbia deciso di vendere i diritti di tutti i testi sopra menzionati cominciando a pubblicare oggetti editoriali culturalmente antitetici a questi, possiamo ringraziare il lavoro costante e tenace di alcune case editrici che lavorano su diversi filoni: dalla tutela del patrimonio culturale, come Baldini+Castoldi che ha ripubblicato i testi madre dell’esperienza basagliana, accompagnato da Raffaello Cortina che ha di recente ristampato le Conferenze brasiliane sempre di Basaglia e La nave che affonda, con un dialogo tra i Basaglia, Pirella e Taverna; alla restituzione delle storie degli internati e delle internate di un tempo, tra questi il bel libro edito di recente da Il Saggiatore Ci chiamavan matti a cura di Marica Setaro e Silvia Calamai, affiancato tra gli altri da Malacarne – Donne e manicomio nell’Italia fascista di Annacarla Valeriano, Donzelli 20218. Accanto a questi ci sono testi dedicati al monitoraggio del servizi di salute mentale accompagnati da una riflessione sul contemporaneo e sugli strumenti pratico/teorici per trasformarlo. A questo proposito il lavoro di Alphabeta Verlag con la collana 180 e il suo ultimo Quale psichiatria? di Franco Rotelli, oppure come il testo I budget di salute e il welfare di comunità, Laterza scritto da Angelo Righetti nel 2014.

Attrezzi
Ci sono poi testi che forniscono una vera e propria cassetta degli attrezzi, tra cui troviamo il Piccolo manuale di sopravvivenza in psichiatria a cura di Ugo Zamburru e Angela Spalatro, Edizioni Gruppo Abele e testi che restituiscono una voce a chi non ce l’ha più come con Noi due siamo uno add Editore, scritto da Matteo Spicuglia sulla morte di Andrea Soldi. Una costellazione di frammenti necessari alla costruzione di uno sguardo consapevole e critico sul contemporaneo che però paga il dazio di una struttura culturale a monte che ha perso la capacità di incidere in modo diretto con la realtà se non attraverso resistenze e battaglie di retroguardia. Soffriamo una parcellizzazione e settorializzazione della narrazione e del lavoro editoriale, che ci rende poco capaci di riempire di senso uno spazio che se abitato diversamente renderebbe nudo il Re e non consentirebbe né di legare così facilmente le persone né di scrivere libri in cui si esalta la propria seduzione verso gli abusi di potere.