Seppur lentamente l’università italiana sta registrando nelle varie forme della propria rappresentazione la scrittura della differenza: ovvero quanto meno la flessione femminile/maschile delle soggettività che intende rappresentare. Sulla spinta di un moto di nominazione che parte dal sociale e investe la sfera culturale sotto vari aspetti – non ultimo quello istituzionale, pensiamo alle varie forme di nominazione il/la presidente/presidentessa Senato/Camera, ecc. – l’università registra e fa propria una istanza che proviene dal movimento delle donne nelle sue varie fasi, dai collettivi femministi studenteschi, e che ha al centro la fonte sorgiva delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana per la scuola e l’editoria scolastica (1986) di Alma Sabatini, confluite poi nel volume Il sessismo nella lingua italiana del 1987, che vede la collaborazione di Marcella Mariani e la partecipazione alla ricerca di Edda Billi e Alda Santangelo, pubblicazioni entrambe promosse dalla Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna della Presidenza del consiglio dei ministri.

VI È DA NOTARE che l’opera di Alma Sabatini è riconosciuta pressoché unanimemente come pionieristica, antesignana e anticipatrice di quanto poi messo a fuoco nel lungo periodo grazie al successivo lavoro effettuato da ricercatrici e docenti con varie specifiche competenze disciplinari in settori come la linguistica italiana, la critica letteraria, il diritto, la sociologia nelle sue varie flessioni, la comunicazione culturale, la filosofia politica, gli studi di genere. Molte università hanno quindi in questi ultimi anni varato regolamenti e indicazioni di comportamento linguistico, anche sulla scorta delle linee guida sulla neutralità di genere nel linguaggio usato al Parlamento europeo varate nel 2018 (ma già date in indirizzo nel 2008), in cui si intende il «neutro» come politicamente non sessista a partire anche dal multilinguismo del contesto europeo, e quindi in termini diversi da quelli della esplicitazione della differenza sessuale, così come dalle indicazioni di Alma Sabatini, comunque e sempre richiamata. Altrettanto e forse anche più importanti per quanto riguarda scuola e università le linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del Miur varate nel 2018, risultato di un gruppo di lavoro coordinato da Cecilia Robustelli e non abbastanza conosciute forse a causa della loro destinazione amministrativa, mentre sarebbero utili anche nella riflessione scolastica sul linguaggio in uso nei manuali scolastici dalle elementari fino all’università.

E NEL 2017 l’Accademia della Crusca ha intitolato un suo volume dedicato ai femminili di professioni e cariche in Italia e all’estero Quasi una rivoluzione, segno evidente del cambiamento profondo in corso a partire proprio dai «due celebri libretti di Alma Sabatini» – così nelle parole di Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca; e il volume registra cambiamenti in corso dovuti all’uso di termini declinati sulla differenza femminile già in campo istituzionale. L’università sta quindi recependo un movimento che non parte da sé, va detto, ma che ha origine soprattutto da istanze politico-amministrative: il Comitato Unico di Garanzia dell’Università di Torino nel 2015 ha varato le linee guida per un approccio di genere al linguaggio amministrativo, poi fatte proprie dall’intero ateneo nel 2016; l’Università di Padova nel piano delle azioni positive 2015-2017 ha individuato in generi e linguaggi uno dei propri obiettivi, stilando le proprie linee guida; e così altre università come quelle di Trento, Verona, della Basilicata, Ferrara e molte altre. Tra tutte a titolo esemplare la Sapienza di Roma sul proprio sito presenta un manuale per testi chiari, corretti ed efficaci a cura di Valeria Della Valle e Luca Serianni, che reca il marchio gender equality delle Nazioni Unite, in quanto il secondo capitolo affronta il tema dell’uso del maschile e femminile nel linguaggio, in particolar modo quello formale dell’università.

IL MANUALE della Sapienza, molto favorevole alla introduzione del femminile per professioni e ruoli come avvocata, sindaca, ministra, rettrice, direttrice, indica anche i modi con cui evitare il plurale astrattamente inclusivo che non fa emergere la presenza di studentesse e studenti: ad esempio «gli studenti» può essere sostituito da «la comunità studentesca» e così via. Curiosamente però, nonostante la questione sia affrontata nel manuale della Sapienza con equilibrio e in modo assai favorevole alla declinazione della differenza, quando si ricostruisce il dibattito che ha avuto luogo fin dagli anni Ottanta del Novecento il riferimento è ai «linguisti che si sono espressi prevalentemente a favore dell’uso del sostantivo femminile, in particolare per indicare le cariche o le professioni esercitate dalle donne»: adoperando così quel maschile inclusivo astrattamente neutro che si invita a non usare per studenti e altre categorie.

Quando si fa riferimento alla comunità di studio, nonostante essa sia composta in particolar modo nel caso delle raccomandazioni per un uso non sessista della lingua soprattutto da studiose, fanno capolino, ancora una volta, i «linguisti»; sarebbe bastato «delle/dei linguiste/i», ma certo la cosa rischia di divenire farraginosa, soprattutto nel contesto di un manuale rivolto alla semplificazione e chiarezza comunicativa.
Altrettanto interessante e densa di nominazioni tutte in corso di definizione la questione delle soggettività in divenire o altrimenti in transito, per le quali alcune università stanno predisponendo le cosiddette «carriere alias» per le proprie/i iscritte/i (nelle note al testo integrale comparso nell’ebook tutti i numerosi riferimenti sul tema, ndr): ovvero la possibilità di avere su richiesta un libretto alias diverso per rappresentazione nominale da quello anagrafico e rispondente a un percorso in divenire delle soggettività di studenti, che però sovente devono presentare un certificato medico e/o psicologico attestante la situazione per la quale non basta l’autocertificazione come per qualsiasi altra attestazione di soggetto maggiorenne, il che comporta una violenza epistemica di non sottovalutabile entità. Alcune università parlano apertamente di «disforia di genere» e richiedono addirittura certificati rilasciati dai centri di igiene mentale.

INOLTRE, l’oscillazione tra studentesse e studenti, femminile e maschile, sembra contemplare solo un alias che sospende la nominazione, lasciando poi alla singola e al singolo la propria nominazione e quindi in sostanza anche la propria autorappresentazione, tranne poi altrettanto sovente presentare un modulo di certificazione tutto declinato all’astratto maschile de «il richiedente», «lo studente», ecc. In alcuni casi si arriva anche all’uso del neutro «persona» (ben diverso dal «personale è politico» di memoria femminista), circonlocuzione astratta che permette di non nominare la possibile declinazione sessuata, sospendendola in attesa di esiti giuridici e anagrafici di definitivi cambi di sesso.

Vi è poi da notare come la questione sembri non porsi per il personale tecnico amministrativo e per la docenza, poiché il numero di atenei che si è posto la questione è davvero ridottissimo. Fa eccezione l’Università di Pisa, il cui regolamento è stato varato il 29 gennaio 2020, che oltre a richiedere solo la sottoscrizione di un accordo di riservatezza senza alcuna documentazione, lo estende a «tutte/i le/i componenti della comunità universitaria, docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo, dirigenti, componenti esterne/i degli organi collegiali e a quanti/e a vario titolo operano, anche occasionalmente e temporaneamente, nelle strutture dell’Ateneo».

MA SI TRATTA, appunto, di un regolamento assai recente che registra e fa proprie le tante criticità di un percorso non semplice da articolare nelle modalità di rappresentazione di differenze la cui stessa declinazione risulta in transito, come ben sa chi abbia anche solo provato ad addentrarsi nel complesso dibattito sul «-@», sull’asterisco «-*», sul fonema schwa, sulla «-u» declinativa, per significare la sigla lgbtq+, che nella versione statunitense è arrivata ormai a comprendere 28 caratteri (Ne scrive Marina Vitale nel numero 147 di Leggendaria in un intervento dedicato a “Nuovi soggetti, nuove grammatiche”, pp. 56-57). Si tratta di una selva assai erta, come mostrato di recente da dibattiti anche piuttosto accesi sui social, che si colloca sotto il segno della lingua dell’inclusività ed è interessante notare come l’opera di Alma Sabatini sia richiamata a sostegno di flessioni neppure nominate nelle sue raccomandazioni.

La rete femminista di Non una di meno sottolinea nel noto Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne del 2017 a proposito del linguaggio inclusivo come tutti questi segni grafici siano segnali dell’irriducibilità e molteplicità delle differenze e abbiano quindi una valenza politica: il fastidio acustico che produce il fonema «/u/» svela la non neutralità del maschile ed è strumento di messa in evidenza della normatività della lingua e quindi della struttura eteronormativa e patriarcale della società. Qualcosa che l’università italiana è ben lontana da acquisire nei suoi tratti problematici, ma che, comunque, la interroga.

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SCHEDA. Un ebook dedicato alla linguista Alma Sabatini

Da oggi disponibile in ebook «Dove batte la lingua oggi?» (Iacobelli editore, pp. 65, euro 5.99), il primo dei «Quaderni» che il «Centro di Documentazione Internazionale “Alma Sabatini”» dedica alla linguista. Con un esergo di Edda Billi, l’introduzione è di Maria Rosa Cutrufelli (presidente del Centro); «Alma Sabatini: un ritratto femminista», di Alessandra Pigliaru; «Alma Sabatini: domande radicali sul mondo», di Bianca Maria Pomeranzi; «Scrittore non è neutro. Piccolo saggio sulle donne, i significati e la scrittura», di Giulia Caminito; «Scrivere all’università: la sfida della differenza», di Laura Fortini; «Che genere di parole. Inchiesta sulla lingua in forma di rubrica», a cura di Sara De Simone; con interventi di: Maria Attanasio e Laura Pugno. Il 6 ottobre verrà presentato a Roma nell’ambito di «Feminism» alla Casa delle Donne