Joseph Roth, L’avventuriera di Montecarlo. Scritti sul cinema (1919-1935), a cura di Leonardo Quaresima, Milano, Adelphi, pp. 286, euro 12,00.

Se i protagonisti dei suoi romanzi frequentano a più riprese la sala buia, sorprende comunque che al cinema Joseph Roth abbia dedicato dal ’19 al ’35 un centinaio di interventi spesso di abbagliante acutezza. Non si lascia contagiare dal mito dal mito dell’autore e snobba esplicitamente Lang, Murnau, Dreyer, Ejzenstein, dosa col contagocce le lodi alle dive, si addormenta davanti ai kolossal pseudo-storici, apprezza senza riserve soltanto Charlie Chaplin e Buster Keaton. Stravede per i documentari, i film etnografici, i cinegiornali, ma salta letteralmente sulla sedia quando vede le immagini spettrali di una delle uscite pubbliche dello zar e della famiglia imperiale, presenze fantasmatiche che davanti alla macchina da presa sembrano svelare il loro destino imminente, quasi un rendez-vous di morti in permesso.

Carlo Chatrian e Daniela Persico (a cura di), Emmanuel Carrère. Tra cinema e letteratura, Milano, Bietti Heterotopia, pp. 166, euro 14,00.

Sono moltissimi gli articoli di Emmanuel Carrère apparsi su “Positif” da quando alla fine del ’76 incontra Michel Ciment al bar del Trocadéro. Ammiratore di Werner Herzog il visionario, ha un debole per Serie B, da Tod Browning a Jacques Tourneur, da George A. Romero a Terence Fisher, da Dario Argento a Mario Bava, nei quali ritrova il senso di estraneità al mondo, al centro dell’universo plurale di Philip K. Dick, a cui dedica una folgorante biografia. S’interroga sul fantastico scrivendo di “Stalker”j, “L’australiano”, “Blow up”, “La donna che visse due volte”, altrettanti titoli-chiave di una grande stagione del moderno, in cui si muove anche la sua attività letteraria, sospesa tra documento e affabulazione, inchiesta giudiziaria e auto-finzione.

Jean-Paul Manganaro, Liz Taylor. Un’autobiografia, trad. it. Massimo Fumagalli, Milano, il Saggiatore, pp. 140, euro 19,00.

Singolare biografia apocrifa, svela l’attrice a se stessa raccontandola in terza persona mentre ripercorre il suo viaggio nel mondo illusorio del cinema, dentro lo schermo ambiguo dei film che rincorrono gli eventi della sua vita. O è il contrario? Citando pochissimi titoli, compreso “Cleopatra”, il vertice dell’icona autoreferenziale, suggerisce uno straordinario ritratto dall’interno della diva, il sorprendente e impossibile selfie che mette a fuoco le mani, gli occhi, i piedi, gli sguardi, le esitazioni, i languori, i frammenti di un puzzle amoroso. La scrittura avvolgente e barocca insegue l’identificazione profonda, segreta, sofferta con la donna più che con l’attrice.