L’operazione militare russa in Siria non minaccia solo gli interessi Usa. Gli aerei di Mosca pestano i piedi anche ad Ankara, tra gli incendiari del conflitto siriano. Il presidente Erdogan ha un timore concreto: che la Russia blocchi il piano – fatto digerire con fatica agli Stati uniti solo la scorsa estate – di una zona cuscinetto all’interno del territorio siriano, lungo il confine turco. Una no-fly zone dove concentrare il milione di profughi siriani in Turchia e addestrare le opposizioni moderate.

Con Mosca che, con la forza, si è imposta come prima donna della guerra civile, la zona cuscinetto potrebbe restare un sogno irrealizzato. Ieri è giunto l’ennesimo screzio, dopo la notizia circolata nel fine settimana di un convoglio Isis di autocisterne piene di greggio colpito dai raid russi nel percorso dalla Siria alla Turchia. Ankara ha convocato l’ambasciatore russo per protestare contro la violazione del proprio spazio aereo da parte di un aereo da guerra russo, sabato. Una volta dentro, due F16 turchi si sono alzati in volo e hanno scortato l’“invasore” fuori.

Mosca ha parlato di errore, ma Erdogan non vuole perdere le poche occasioni che si presentano per alzare la voce e ritagliarsi uno spazio al tavolo della guerra civile siriana. L’episodio, apparentemente di lieve entità, è specchio della preoccupazione che l’intervento russo genera tra chi, per 4 anni, ha tenuto acceso il conflitto foraggiando e sostenendo le opposizioni moderate ed estremiste al presidente Assad. Sul campo mentre proseguono i bombardamenti russi, si ripetono uguali a se stessi i commenti dell’Occidente: «La Russia sta provocando un’escalation del conflitto, prendendo di mira i gruppi moderati», è tornato a dire il segretario alla Difesa Usa Carter, a cui fanno eco turchi, britannici, francesi.

Ma vanno prese anche misure concrete per controbilanciare l’autorità russa e, allo stesso tempo, gestire il coordinamento delle operazioni militari tra il fronte pro-Assad e quello contro Assad. Dopo i primi raid russi contro la “capitale” del califfato, Raqqa, la coalizione starebbe lavorando all’apertura di un nuovo fronte contro la città. Lo hanno riferito al New York Times ufficiali civili e funzionari militari. Il presidente Obama ha assunto misure volte a modificare la strategia Usa: da una parte ha ordinato al Pentagono di armare direttamente le forze di opposizione sul campo di battaglia (ovvero tra i 3mila e i 5mila ribelli siriani e altri 20mila combattenti kurdi, molto più efficaci) e dall’altra ha chiesto di ampliare la campagna aerea dalla base turca di Incirlik.

Entrambe le misure saranno volte ad isolare Raqqa e impedire l’approvigionamento militare dell’Isis e, allo stesso tempo, a stabilire legami con le unità di difesa kurde, strapparle ad Assad: negli ultimi mesi, dopo le fondamentali vittorie segnate dalle Ypg nella regione di Rojava, Damasco ha aperto alla possibilità di ridefinire lo status amministrativo della zona. Altra minaccia al piano anti-Assad del fronte Occidente-Golfo. E, di nuovo, alla Turchia che teme tanto il progetto democratico kurdo da aver lanciato una vasta operazione militare contro il suo ispiratore, il Pkk, sia nel proprio territorio che in Iraq.

E mentre il mondo si rimpalla responsabilità, lo Stato Islamico ricorda a tutti chi è la principale minaccia all’intero Medio Oriente. Con azioni simboliche, ma devastanti: dopo la distruzione del mausoleo di Baal Shamin e del Tempio di Bel, i miliziani di al-Baghdadi hanno fatto saltare in aria l’Arco di Trionfo dell’antica città di Palmira. Lo ha reso noto ieri Maamun Abdulkarim, direttore del Dipartimento siriano per le Antichità: «L’Arco di Trionfo è stato distrutto ieri [domenica], l’Isis lo aveva circondato di esplosivo settimane fa». Così è scomparsa un’altra «icona» di Palmira, come l’ha definita Abdulkarim che ora teme per gli antichissimi monumenti ancora in piedi, il colonnato, l’anfiteatro, la città pre-islamica.

L’Isis non si fa scrupoli: vende al mercato nero quello che può e il resto – i monumenti non trasportabili – lo polverizza, atto che è esempio di un futuro di “purezza” per i potenziali adepti, monito manicheo per il popolo siriano. O con noi o contro.