Non è un’impennata, ma «una salita controllata dei contagi», asserisce il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri. Certo è che il numero di casi positivi al Covid-19 riscontrati nelle ultime 24 ore – 4.458, quasi ottocento in più rispetto al giorno prima, a fronte di oltre 128 mila tamponi, solo 3 mila in più della giornata precedente – ci riporta al livello del 3 aprile scorso, la vigilia del picco massimo di quel mese. Per fortuna, oggi non dobbiamo piangere gli oltre seicento morti di allora: i decessi sono 22, nove in meno della rilevazione precedente, ma sale il numero dei ricoverati gravi con 358 pazienti in terapia intensiva (21 in più rispetto alle 24 ore prima). Ma non è finita qui, avverte il ministro della Salute Roberto Speranza: «Noi non abbiamo i numeri di altri Paesi europei ma da nove settimane ormai i nostri numeri crescono e cresceranno ancora, questa è la nostra aspettativa in linea con quello che sta accadendo a livello europeo».

NATURALMENTE tutto ciò fa paura: nel Paese, soprattutto al centro-sud, sempre più persone si mettono in fila per sottoporsi a tampone, e le regioni – che hanno obiettivamente perso troppo tempo – stanno ora cercando di organizzarsi e reperire kit per i test rapidi antigenici, quelli che richiedono meno tempo per il responso e possono dunque offrire una buona soluzione anche alle scuole, dove è di vitale importanza riuscire a distinguere immediatamente i sintomi dell’influenza o delle malattie stagionali, da quelli del Sars-Cov-2. Il problema è che questo tipo di test (salivari o nasofaringei che siano) scarseggiano, ma il premier Conte ha assicurato ieri: «Si sta concludendo la gara per 5 milioni di test rapidi, che saranno messi a disposizione anche dei medici di famiglia che ne faranno richiesta. Questo – ha aggiunto dal palco del Festival dello Sviluppo Sostenibile – consentirà alla popolazione di affrontare le prossime settimane con minore ansia, visto che tutti vorrebbero, ai primi segnali di preoccupazione, effettuare i test».

MA IL TREND DI CONTAGI ormai non si registra più in numeri assoluti. L’ago della bilancia, lo “spread” dei prossimi mesi, sarà il rapporto tra casi positivi e tamponi effettuati, che deve rimanere sotto la soglia del 3% affinché il contact tracing funzioni correttamente e il numero di positivi che sfuggono al monitoraggio siano relativamente pochi, come spiega il fisico e divulgatore scientifico Giorgio Sestili. «Soglia – dice – che in Italia abbiamo oltrepassato il 25 settembre, mentre dal 3 ottobre siamo stabilmente sopra al 4%». In sostanza, aggiunge Sestili, abbiamo rotto un «argine» della pandemia: «I test che stiamo facendo non sono più sufficienti ad individuare i casi positivi reali, molti ce ne perdiamo e questo produce una dinamica di diffusione del virus che non siamo più in grado di controllare».

È QUANTO SI EVINCE anche dal settimanale rapporto della Fondazione Gimbe: dal 30 settembre al 6 ottobre c’è stato, rispetto alla settimana precedente, un aumento «del 13,1% dei decessi (+18), del 17,7% dei pazienti in terapia intensiva (+48), del 18,9% dei ricoverati con sintomi (+577) del 42,4% dei nuovi casi (+17.252), del 18,8% dei casi attualmente positivi (+9.504), del 9% dei casi testati (+35.588) e del 9,7% dei tamponi totali (+63.351)». Secondo il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta, «nell’ultima settimana la curva dei contagi si è impennata, in conseguenza del netto incremento del rapporto tra positivi e casi testati, e si conferma inoltre la crescita costante dei pazienti ospedalizzati con sintomi e di quelli in terapia intensiva». «Per contenere la nuova ondata, in particolare nelle regioni del centro-sud – si legge nel rapporto – ben vengano le mascherine all’aperto, ma bisogna giocare d’anticipo sul virus su tutti i fronti. Indifferibile potenziare e uniformare tra le diverse regioni gli standard dell’assistenza sanitaria territoriale e ospedaliera, oltre che trovare una soluzione per ridurre l’elevato rischio di contagio sui mezzi pubblici».

IN PARTICOLARE, INFATTI, in sette regioni la percentuale dei casi di coronavirus ospedalizzati supera nettamente la media nazionale del 6,6%: in testa la Sicilia con l’11,5%, seguono Liguria (10,4%), Lazio (9,9%), Puglia (8,9%), Piemonte (8,6%), Abruzzo (8,2%) e Basilicata (7,9%). Il governatore siciliano Nello Musumeci però ostenta sicurezza: «Stiamo razionalizzando le strutture ospedaliere», e «abbiamo circa 20 laboratori autorizzati in Sicilia, sono già arrivati un milione di tamponi rapidi e ne aspettiamo un altro milione».

E SE NEL COMPRENSORIO di Ventimiglia è stato necessario l’intervento dei carabinieri per gestire la folla ansiosa di genitori che si sono riversati in un drive-in per sottoporre a tampone i propri figli, nel Lazio l’Unità di crisi regionale annuncia l’apertura di altri drive-in, fino a quota 38 (ma qui è richiesta la prescrizione medica), che affiancano «65 laboratori privati autorizzati ai tamponi rapidi antigenici a tariffa concordata». Mentre in Campania, dove pure si sono registrate lunghe file per i test, il governatore De Luca ha incontrato il ministro Speranza e il commissario Arcuri, ottenendo dal governo l’impegno a garantire tutte le forniture necessarie: test, dpi e attrezzature per le terapie intensive. Ma, data la forte carenza di personale socio-sanitario nella regione e la «grande prevalenza di asintomatici destinati all’isolamento domiciliare», De Luca ha chiesto alla Protezione Civile di mettere a disposizione «nei tempi più rapidi possibili» personale medico e infermieristico volontario, «indispensabile per seguire i pazienti nel periodo di isolamento».

Infine, in Lombardia il M5S chiede che test rapidi e sierologici possano essere effettuati anche dai medici di base. Peccato che, secondo quanto denunciato dalla stessa Federazione dei medici di famiglia, nel 50% delle province italiane la medicina di base non è autorizzata neppure a prescrivere il tampone.