Freddy Krueger, il mostro con il corpo ustionato inventato dalla sconfinata immaginazione di Wes Craven, accarezza, con la mano artigliata, il volto e la bocca di Jesse Walsh, il giovane protagonista di Nightmare 2 – La rivincita, secondo capitolo di quella che sarebbe diventata una delle saghe più seguite della storia del cinema horror, realizzato nel 1985 da Jack Sholder, al suo secondo lungometraggio. Una scena che contiene un gesto di esplicito omoerotismo, ricorderà Englund nell’appassionato e commovente documentario Scream, Queen! My Nightmare on Elm Street (2019) nel quale Roman Chimienti e Tyler Jensen ripercorrono l’incredibile storia di Nightmare 2. «In quella scena giocavo con l’idea del sesso orale, con parecchio simbolismo – afferma Englund – Il Freddy sfigurato giocava con la bellezza di Jesse perché, in fondo, di cosa si trattava? Della Bella e la Bestia». E Mark Patton, che recitava nel ruolo di Jesse, evidenzia, sempre in Scream, Queen!, che quella era «una scena d’amore».

MA COME MAI quel film divenne, fin dalla sua uscita, un vero e proprio caso che rovinò la vita artistica e privata di un attore agli albori di una carriera che sarebbe stata distrutta sul nascere, portandolo a scomparire e rifarsi una storia in Messico. L’occasione per ripensare e (ri)vedere Nightmare 2 (dotato, al di là delle questioni di genere messe in campo, di una visionarietà diabolica, di un gusto pittorico per le immagini come magnificamente evidenziato dall’incipit e dall’explicit, di un piacere per il b movie coniugante horror e paesaggi infernali da peplum, possessione mentale e fisica e effetti speciali grondanti carne, sangue, graffi lontani da quelli odierni anestetizzati dal digitale) e Scream, Queen!, che lo fa rivivere, è stata data da Monsters, il festival di Taranto (conclusosi domenica con la direzione artistica di Davide Di Giorgio) che da quattro anni indaga con sguardo trasversale le strade dell’horror e che ha inserito il dittico su Nightmare in una giornata chiamata Transhorror dedicata alle questioni di gender e transgender affioranti da un genere, da sempre, capace di offrire una moltitudine di spunti tematici (non solo sessuali, ma anche politici, sociali, sulle trasformazioni del mondo).

QUANDO USCÌ, Nightmare 2 ebbe successo di pubblico, ma molti fan rimasero delusi. Era portatore di qualcosa di inatteso, che disorientava. Mark Patton aveva 26 anni, era gay ma, come molti altri in quel periodo di ritorno oscurantista a Hollywood dovuto all’esplosione dell’Aids, non si era mai dichiarato. La sceneggiatura conteneva già tutti gli elementi omoerotici, eppure lo sceneggiatore David Chaskin negò di avere scritto un film gay e, quando si iniziò a parlare di Nightmare 2 da quella prospettiva (e la rivista The Village Voice lo definì «un grande film gay»), scaricò ogni responsabilità su Patton dicendo che era colpa sua, che era stato lui a renderlo gay con la sua interpretazione, le sue urla effeminate (da qui l’appellativo «scream, queen»), le sue mosse sexy (come nella scena in cui a casa balla nella sua stanza). Eppure tutto era scritto e pare altrettanto curioso che neanche il regista fosse conscio di quell’aspetto mentre girava il film: «Non so perché ma allora non me ne accorsi, è così, non mi passò mai per la testa».

NEL CLIMA OMOFOBO montante di metà anni Ottanta, Patton divenne il bersaglio, lo attaccarono, emarginarono. Ora, trentasei anni dopo, colui che con il suo volto delicato e anti-macho lottava in Nightmare 2 per uscire dall’incubo della possessione di Freddy e trovare un nuovo equilibrio psico-fisico, è un uomo che è riuscito a lasciarsi alle spalle quell’esperienza, è sposato, attivista per i diritti di genere e partecipa a show con drag queen nei quali ripropone i momenti più iconici della sua interpretazione di Jesse.
Nightmare 2 fu ed è un film horror, gay, queer, transgender. E, come si evince da Scream, Queen!, ha segnato non solo molti ragazzi che allora si riconobbero e trovarono in Jesse un compagno di viaggio, ma anche una recente generazione avvicinatasi a quel film con uno sguardo nuovo e complice. Rimarcando, in tal modo, quanto gli anni Ottanta siano stati per l’horror un decennio di sperimentazione assoluta, di libertà creativa totale, di esplosione, mutazione, contaminazione dei corpi sbattuta in faccia, tanto dai grandi cineasti quanto dagli artigiani più innovativi, come gesto politico per disinnescare ogni forma di moralismo e perbenismo.