Nonostante non tramonti l’ipotesi rinvio causa Covid (anche per le elezioni in Galles e a Londra), la Scozia entra nel vivo della campagna per le elezioni politiche del 6 maggio. Il partito indipendentista attualmente al governo, lo Scottish National Party, otterrà certamente la maggioranza. Tuttavia, grande rilevanza avranno le dimensioni di questa vittoria: se l’Snp ottenesse la maggioranza assoluta dei voti, la via che porta all’indipendenza di Edimburgo risulterebbe segnata.

DA SFONDO alla campagna elettorale fanno anzitutto il Covid-19 e la campagna vaccinale. Come tutto il Regno Unito, la Scozia è da inizio anno in un lockdown rigido volto a contrastare la diffusione della ‘variante inglese’. La forte decrescita della curva pandemica fa tuttavia pensare a un alleggerimento in tempi brevi.

La campagna vaccinale procede intanto a passo più spedito che in Ue, ma ha comunque dato adito a polemiche politiche il fatto che, questa volta, la tanto vituperata Inghilterra abbia dimostrato maggiore efficienza. Polemiche comunque contenute, dato che sono circa 600mila gli scozzesi (1 su 10) ad aver ricevuto almeno la prima dose di vaccino e che si è iniziato a vaccinare anche gli over-70 dopo personale sanitario e over-80.

Ma nonostante la pandemia, il tema più caldo rimane quello dell’indipendenza e dell’eventuale secondo referendum, rinvigorito dai primi postumi della Brexit. Il Sì all’indipendenza è ormai dato stabilmente oltre il 50%. I contrari non hanno nemmeno beneficiato dell’arrivo in Scozia del premier britannico Boris Johnson. Si è anzi molto discusso della «essenzialità» del viaggio di Johnson mentre il resto della nazione è in lockdown, così come si era fatto anche per la vista dei reali William e Kate a dicembre. E la discussione non è stata aperta dai soliti umorali tabloid, ma proprio dalla premier scozzese Nicola Sturgeon. Come evidenziato dal Financial Times, Sturgeon e l’Snp usano ormai Johnson e la sua impopolarità come la principale «arma nella battaglia per l’indipendenza», forse anche più degli effettivi contenuti della loro proposta politica.

La premier ha inoltre annunciato che una vittoria dell’Snp a maggio poterà il governo a calendarizzare la ripetizione referendum perso nel 2014, prescindendo dal consenso di Londra. Ma se le elezioni di maggio fossero un plebiscito per l’Snp, non solo gli esiti del nuovo referendum sarebbero scontati, ma diventerebbe anche davvero difficile per il governo centrale britannico negare alla Scozia questa seconda possibilità. Il segretario per la Scozia del governo di Londra, il conservatore scozzese Alister Jack, ha infatti recentemente dichiarato che la ripetizione del referendum non avverrà prima di 25-40 anni. Sarebbe però difficile tenere il punto se la maggioranza degli scozzesi votasse tra tre mesi per un partito indipendentista.

L’SNP SI ATTESTA nei più recenti sondaggi a circa il 50%, ma non mancano gli intoppi nel suo percorso apparentemente trionfale. Ad esempio, negli ultimi giorni le opposizioni hanno criticato all’unisono il piano economico del governo per la ripresa post-pandemica, accusato di aver trascurato le esigenze delle classi lavorative più deboli, in difficoltà a causa del lockdown, e di essersi invece limitato a congelare le tasse sul reddito e sulla casa a solo beneficio delle classi più benestanti. Inoltre, un recente report della London School of Economics ha stimato che l’indipendenza costerebbe agli scozzesi circa 11 miliardi di sterline, praticamente eguagliando il costo della Brexit.

Ma l’Snp è anche alle prese con le accuse di molestie all’ex premier Alex Salmond, figura ancora molto in vista del partito, e con la controversia interna sulla proposta di legge intesa a facilitare il riconoscimento legale del cambiamento di sesso, controversia che rivela la totale mancanza di coesione ideologica nel partito su temi diversi dall’indipendenza. Convivono infatti nell’Snp un’anima ultra-progressista e una più conservatrice che difficilmente rimarrebbero assieme allorché l’obiettivo della loro convivenza, l’indipendenza, venisse realizzato.

LE OPPOSIZIONI non sembrano però in grado di trarre vantaggio dalle difficoltà del partito di governo. Non se la passa bene il Labour, dato al momento fra il 15 e il 20%. A tre mesi delle elezioni, i laburisti si ritrovano senza una guida politica: si è infatti dimesso il leader del partito, il corbyniano Richard Leonard, lasciando i suoi in balia di lotte intestine per la nuova leadership. In discesa anche i conservatori, dati al 20% circa, di poco sopra ai laburisti. Se da un lato il Partito Conservatore Scozzese è ormai riconosciuto come il baluardo dell’anti-indipendentismo, dall’altro questa intransigenza è letta da molti come la negazione del diritto degli scozzesi di decidere le sorti della propria nazione.

A completare la corsa il Liberal-Democratici, la sinistra radicale e indipendentista dello Scottish Socialist Party e i Verdi. Nessuna di queste forze sembra però poter condizionare l’esito delle elezioni. Eppure è proprio sulla conquista degli elettori di questi partiti che si gioca il tentativo dell’Snp di portare il paese verso l’indipendenza, eventualità gravida di conseguenze non solo per gli scozzesi, ma per tutto il Regno Unito e anche per l’Unione Europea, che certamente ritroverebbe poco dopo Nicola Sturgeon a bussare alla sua porta.