Malgrado Nicola Sturgeon, la leader dello Scottish National Party e primo ministro del governo regionale scozzese, abbia parlato di «vittoria storica» degli indipendentisti, il voto per il rinnovo del parlamento di Edimbugo, ha avuto in realtà un esito a più facce.

Se è infatti vero che il Snp è arrivato largamente in testa per la terza elezione consecutiva, doppiando nel numero dei consensi gli avversari laburisti e conservatori, ha però perso 6 seggi, attestandosi su percentuali che non gli garantiscono la maggioranza assoluta, e quindi la possibilità di governare da solo: ha conquistato “solo” 63 dei 129 seggi dell’assemblea scozzese, rispetto ai 69 ottenuti nel 2011. Un risultato che con ogni probabilità apre la strada ad un nuovo esecutivo guidato dai nazionalisti locali, ma sostenuto questa volta dall’appoggio determinante dei Verdi che in Scozia hanno triplicato i voti aggiundicandosi 6 seggi, 4 in più delle scorse consultazioni.

Pur restando molto popolari, le tesi in favore dell’indipendenza scozzese sembrano perciò segnare un po’ il passo, affiancate anche nelle preoccupazioni degli elettori del luogo dai temi che hanno caratterizzato il voto in tutta la Gran Bretagna, come il tema dell’immigrazione e le questioni sociali. Senza contare che la progressiva caduta del prezzo del petrolio, vera manna dell’economia locale, ha contribuito negli ultimi tempi a rendere un po’ meno rosea agli occhi di molti scozzesi la prospettiva di uno strappo con Londra.

Quanto a Sturgeon è arrivata alla guida del partito nazionalista, di ispirazione socialdemocratica, all’indomani della sconfitta patita nel 2014 nel referendum in favore dell’indipendenza che aveva portato all’uscita di scena dello storico leader del Snp, Alex Salmond e ora, annunciando di voler continuare con un governo di minoranza, scommette sul prossimo voto pro o contro la Brexit in programma il 23 giugno. Se in quella occasione i Sì al divorzio tra i britannici e l’Unione europea dovessero prevalere, la Scozia, dove i sentimenti pro-europei sono invece maggioritari, si troverebbe di fatto nelle condizioni di porre nuovamente il problema della sua permanenza nell’ambito del Regno Unito.

Il capo del governo di Edimburgo l’ha già detto in modo molto chiaro: «Se a giugno la Scozia fosse costretta a rinunciare all’Europa, i suoi cittadini reagirebbero con grande forza». Toni minacciosi che nascondono però la difficoltà, per il momento almeno, di immaginare una nuova consultazione indipendentista. Nicola Sturgeon è particolarmente prudente sul tema e spiega che «il nostro sogno resta quello di una Scozia indipendente e padrona del proprio destino e per questo cercheremo di convincere con pazienza e rispetto i nostri concittadini».

Accanto all’affermazione incerta degli indipendentisti, dalla Scozia è arrivato però anche un altro segnale di rilievo per la politica britannica. Se infatti il candidato laburista Sadiq Khan, come annunciato dai sondaggi, si aggiudica le amministrative di Londra, il suo partito crolla miseramente in alcune delle storiche roccaforti operaie che deteneva da oltre mezzo secolo, come la zona degli ex cantieri navali di Glasgow. Addirittura, nel parlamento scozzese che lo ha visto a lungo egemone, il Labour che ha perso in un colpo solo ben 13 seggi viene superato perfino dai Conservatori.

Un crollo, quello dei laburisti, che si registra anche in molti dei 124 comuni in cui si è votato, oltre che nella capitale, in Inghilterra. E che in alcuni casi, come quello dell’assemblea nazionale gallese – il parlamento di Cardiff – ha visto il partito xenofobo e antieuropeo dell’Ukip, alleato in Europa del Movimento 5 Stelle, conquistare i collegi andati fino ad ora ai laburisti.

Un risultato talmente negativo che malgrado la vittoria di Londra, strappata dopo 8 anni ai conservatori, secondo diversi osservatori potrebbe contribuire a mettere in seria discussione la stessa leadership di Jeremy Corbyn. E in ogni caso potrebbe portare all’apertura di una nuova fase di conflitti all’interno del Labour, già apparso diviso sulle recenti derive antisemite di alcuni suoi esponenti che hanno portato all’estromissione dal partito di un suo storico leader come l’ex sindaco di Londra, Ken Livingstone.