«Trasformiamo il congresso di Rimini in un grande appuntamento aperto in cui ritrovare il senso di una comunità e in cui rilanciare, allargando il campo, avendo il coraggio di riorganizzare una sfida. Dobbiamo aprire, non chiudere. Alziamo lo sguardo, cerchiamo nuove risposte. Cambiamo la ragione sociale del congresso, facciamone una tappa politica, non la nostra blindatura organizzativa». È l’appello, quasi drammatico, del capogruppo alla Camera di Sinistra italiana, candidato segretario a congresso.

Sta chiedendo di fermare la macchina a una settimana dai congressi locali e a poco più di due dall’assise di Rimini?

No. Sto chiedendo di fermare la conta. Riapriamo una riflessione a tutti i livelli.

Ha paura di perdere?

No. Ho paura che il congresso, se celebrato totalmente fuori sincro dalla fase politica che stiamo vivendo, e cioè dalla precipitazione elettorale che si determina in queste ore, non diventi un nuovo inizio ma anzi sia un fatto del tutto irrilevante. Non è l’ora delle lacerazioni, è l’ora della riflessione e dell’unità. Chiedo a tutti un supplemento di riflessione, non drammatizziamo la nostra discussione tra apocalittici e integrati.

Il suo appello nasce dal segnale di scissione dal Pd che ha dato D’Alema sabato scorso?

Siamo oggettivamente di fronte a uno scenario nuovo. L’assemblea dei Frentani e la nascita di una nuova associazione, ConSenso, le prese di posizione del presidente Emiliano, una discussione sempre più esplicita nel Pd, costituiscono un fatto nuovo. E non solo: Renzi ha scelto l’avventura. Bisogna organizzare il campo di un’alternativa credibile alla sua deriva che rischia di consegnare il paese alla saldatura tra Lega e Cinque stelle. Un campo che abbracci i temi sociali sollevati da Laura Boldrini, la discontinuità richiesta finalmente anche da Giuliano Pisapia, la sinistra del Pd che solleva la grande questione della lotta alle diseguaglianze.

Insomma propone l’alleanza con D’Alema? E se il Pd non si spacca e non si va al voto?

Sinistra Italiana è nata intorno a un’idea forte: la presa d’atto dell’insufficienza di ciò che c’era, rifondare una forza della sinistra larga, popolare, con una cultura di governo. In grado di tenersi a distanza, allo stesso tempo, dai due vizi cronici degli ultimi vent’anni: la subalternità e la testimonianza. Noi siamo nati sotto questa stella. E abbiamo raccolto intorno a quel progetto, grazie alla generosità di tanti, energie e intelligenze.

Non può portare questi temi a Rimini e prendere atto della scelta dei delegati?

Ma possiamo dividerci tra di noi su scenari ipotetici e senza capire dove sta precipitando il paese? Nel corso degli ultimi mesi ho avvertito il rischio di un ripiegamento, di rassegnarsi all’ennesimo cartello della sinistra radicale, senza alcun peso nella società. Il No ricostruttore per un centrosinistra alternativo al renzismo e alla terza via ha aperto nuovi spazi.

Ma non tutti i suoi compagni considerano il No «ricostruttore» del centrosinistra.

Ma come si fa a non capire che siamo in un passaggio delicato, nel vortice di una transizione? Abbiamo cominciato a scrivere le nostre tesi congressuali con Renzi ancora a Palazzo Chigi, Obama alla Casa Bianca e nel punto di massima tenuta della grande coalizione europea di socialisti e Ppe. In poche settimane abbiamo vinto un referendum, è caduto Renzi, il Pd è alla vigilia di cambiamenti decisivi, Trump è stato eletto e rischia di determinare poco meno che una guerra con la Cina e un disastro nelle relazioni con il mondo arabo. Nel parlamento europeo socialisti e popolari si spaccano e in Francia nel partito socialista vince Hamon sulle parole d’ordine del reddito e della riduzione dell’orario di lavoro. È cambiato tutto. E noi non proviamo a fare una discussione larga, alta? Oggi, non domani, dobbiamo mettere al centro i temi del lavoro, del reddito, degli investimenti pubblici, della riconversione ecologica, dell’innovazione, di una nuova sinistra che ricostruisce l’ambizione del governo con un programma avanzato, radicale.

Scusi, non è che sta prendendo atto che la sua area avrà meno delegati e quindi rischia di perdere e doversi adeguare a un’altra linea?

Voglio essere chiaro: è l’esatto contrario. Comunque delle tessere parleremo in seguito, se sarà necessario, quando capiremo le decisioni del nostro organismo di garanzia. Oggi vorrei solo dire che tutte le posizioni in campo hanno lavorato per allargare la partecipazione al congresso: è un fatto positivo. Per me la priorità è stata convincere tante e tanti che non ci credevano più. Ora si tratta di garantire la massima partecipazione, a cominciare dai livelli territoriali. Ma il punto per me è: non voglio prendere parte a un talent show e ancora meno avvelenare la discussione interna.

Potrebbe ritirarsi?

La mia candidatura è a disposizione, è uno strumento e non un fine. Propongo che Rimini sia l’occasione per la costruzione di un campo largo dell’alternativa. Per farlo serve una gestione collegiale del gruppo dirigente, non una lotta fratricida. Se invece si negano queste novità lo si dica chiaramente.