Ci sono musicisti di successo, nel frastagliato mondo della popular music, che scelgono di impersonare se stessi (o, almeno, quanto vogliono far trasparire di sé) per tutta la vita, al prezzo di dover indossare una maschera stilistica che, alla fine, coincide con la persona. Ce ne sono altri, come Scott Walker, scomparso all’età di settantasei anni, che pur avendo conosciuto il successo con i numeri grossi non sanno che farsene delle maschere, e testimoniano con le loro opere solo il perenne mutamento che tutti riguarda, nelle varie fasi della vita. Non avesse avuto quel particolarissimo vocione fascinoso di velluto scuro, a un blindfold test, le «prove al buio» che si fanno facendo ascoltare dischi e chiedendo conto dell’autore, nessuno avrebbe quasi potuto riconoscere Walker da un disco all’altro.
ALL’ANAGRAFE Noel Scott Engel, americano naturalizzato inglese, Scott Walker è all’inizio un fascinoso protagonista del beat psichedelico inglese con i Walker Brothers (che fratelli non erano, e neppure Walker), prima di dedicarsi a una carriera solistica iniziata nel ’67, l’anno lontano di Sgt. Pepper dei Beatles. Walker da solo scrive tanto e bene: sciorina paesaggi sonori spesso maestosi, le parole sembrano inseguire un personalissimo flusso di coscienza. Gliene riconosceranno merito i Radiohead di Thom Yorke.
ALLA SVOLTA degli anni Ottanta, come racconta Bob Stanley nelle note di copertina al misterioso, splendido Climate of Hunter Scott Walker era solo un nome del passato, l’ex ragazzo d’oro dei Walker Brothers che aveva inanellato una serie di hit da classifica uno dietro l’altro, come perle di una collana, poi svanito in uno strano mondo di assenza. Ultimo segnale sonoro ricevuto Nite Flights con i Walker Brothers riuniti, un colpo di coda magistrale del ‘77 con la possente S ‘ n’ m Symphony. È a quel punto che Julian Cope, mente dei Teardrop Explodes e maniacale conoscitore della storia del rock nelle sue più oscure diramazioni creative gli offre una chance: una compilation per la piccola etichetta Zoo, titolo «Fuga infuocata nel cielo: Il genio divino di Scott Walker». Una generazione di ascoltatori torna a far caso all’enigmatico, fascinoso baritono che srotola paesaggi sonori imprendibili, con brani che nessuno riesce a scrivere come Montague Terrace. Lui vive semirecluso a Londra, paragonandosi, nelle sporadiche interviste emerse, a Orson Welles: l’artista stimato da tutti e da tutti cercato, ma mai finanziato a dovere per esprimere il proprio genio.
LA VIRGIN però ha adocchiato il disco cesellato da Julian Cope: lo mette a sorpresa sotto contratto, e il risultato è il conturbante capolavoro oscuro Climate of Hunter (1984), preceduto da un singolo, Track Three. Spiazza tutti: chi si attende un ritorno agli stratificati paesaggi sonori delle origini si trova tra le mani un oggetto sonoro stregante nelle sue progressioni di accordi inusuali per il mondo pop, e con un basso che serpeggia fluido e instabile attorno al vocione oscuro e declamante di Walker. Un minimalismo dark che sembra rendere omaggio al David Bowie berlinese (che a sua volta aveva pagato debiti sonori non indifferenti a Scott Walker), e che procede di pari passo con le intuizioni dello sfortunato Mark Hollis dei Talk Talk e con i mondi neri d’inchiostro di Nick Cave. Ci suonano gli ospiti Evan Parker, sassofonista dall’avanguardia jazz inglese, il chitarrista Mark Knopfler dei Dire Straits, ci canta il grande Billy Ocean duettando con Walker. La critica impazzisce, il pubblico resta freddo, la riscoperta negli anni a venire di quel disco strano e anticipatore è continua: in una trasmissione televisiva Carlo Verdone, grande appassionato di rock lo indica come «il» disco da rivalutare e cercare (e inserisce la sua It’s Raining Day nella colonna sonora di Posti in piedi in paradiso). Walker tenta un seguito con Brian Eno e Daniel Lanois, questa volta la scintilla non scatta: ci vorranno altri undici anni per avere un disco di Scott Walker, ed è di nuovo un capo d’opera ostico e affascinante, Tilt (1995).
INTANTO ha iniziato a comporre colonne sonore, e saranno quasi tutti colpi ben piazzati. Poi arriva Bish Bosh, nel 2012, e l’incredibile collaborazione con i Sunn o))), un gruppo che pratica il drone metal estremo, e dunque può ben ospitare la voce altrettanto estrema di Walker. A proposito di estremi: nel 2006 fa uscire The Drift, dove si riflette sul massacro di Srebrenica, sulle Torri gemelle, su Mussolini e la sua amante. Nella sua ultima intervista al Guardian, Walker ha detto : «Io scrivo per me stesso, ma anche per tutti gli altri. Non sono uno snob. Scrivo per tutti: il fatto è che la gente non lo ha ancora scoperto». E lo farà?, chiede l’intervistatore:«“Lo farà. Io sarò sotto un metro e mezzo di terra, ma lo farà».