«Concretezza»: non c’è parola più spesso ripetuta dai politici, da una settimana a questa parte. Ma è come l’araba fenice di Mozart e Dal Ponte: che ci sia, anzi che ci debba essere, ciascun lo dice ma dove sia nessun lo sa. Il piano che Vittorio Colao ha presentato ieri agli Stati generali di Villa Pamphili di spunti concreti ne offre. Persino troppi: in un trattato enciclopedico ma privo di indirizzo preciso qualcosa verrà preso di certo dal governo. Il punto è che la decisione di cosa prendere, cioè di cosa tradurre in una decina di leggi, spetta appunto al governo e da quel punto di vista segnali non ne sono arrivati. Il masterplan di Conte e Gualtieri va infatti appena oltre un listone di quel che sarebbe necessario fare.

DI CONCRETO C’È di certo il prolungamento della cassa integrazione offerto ai sindacati, che però è ancora un provvedimento emergenziale. I leader delle Confederazioni hanno apprezzato, segnalando però che non basta. Hanno ripetuto in coro che bisogna anche prolungare il blocco dei licenziamenti, destinato senza un nuovo intervento a scadere il 7 agosto, e stanziare i fondi per gli ammortizzatori. Il premier si è divincolato: non ha escluso né promesso. Alla fine quasi certamente il blocco verrà prolungato: altra scelta non c’è se si vuole evitare la crisi sociale di dimensioni in autunno.

NEL BRIEFING con i giornalisti, Conte si è limitato a escludere una futura patrimoniale e ad annunciare che «sarà riformato lo strumento della Cassa integrazione». Come? Si vedrà. Di sfuggita ha anche alluso alla sua posizione personale, al centro di un furioso dibattito soprattutto nel M5S: «Sarò contento se a fine mandato tornerò a fare l’avvocato». Cose che si dicono, senza neppure pretendere che qualcuno ci creda.

Se con i sindacati è stato almeno evitato lo stato di belligeranza, altrettanto non può dirsi a proposito di Confindustria. L’intervento del presidente degli industriali è in calendario domani ma Carlo Bonomi è già partito all’attacco. Un’offensiva durissima che lascia prevedere fuoco e fiamme: «Ci aspettavamo un Piano preciso, con un cronoprogramma e con gli effetti attesi. Io questo Piano non lo ho visto». Di conseguenza gli industriali promettono, anzi minacciano, di presentarlo loro un bel Piano: «È già pronto e ben preciso. Lo pubblicheremo anche in un libro», avverte Bonomi. «Se hanno raccolto il nostro invito ben venga», replica diplomatico il premier. È appena il caso di notare dei Piani in cantiere si è ormai perso il conto.

Le bordate non si fermano qui: «Basta vedere Ilva e Alitalia per capire quanti danni produce la propensione dello Stato a entrare come gestore nell’economia«, affonda la lama Bonomi. Non è una battuta tagliente scelta a caso. Gli obiettivi di Confindustria, che trova una sponda conclamata nella Iv di Renzi ma alla cui voce sono molto attente anche aree importanti del Pd, sono essenzialmente due: aiuti e sussidi convogliati tutti verso le aziende senza preoccuparsi troppo di chi rischia di annegare, altrimenti si tratterebbe di «inutili interventi a pioggia», e sostegno diretto dello Stato alle aziende in difficoltà senza però che ciò implichi il poter poi mettere becco nelle scelte delle aziende foraggiate. È il capitalismo italiano, bellezza, e da questo punto di vista davvero non cambia mai.

IL CONFLITTO con gli industriali è oggi il principale problema del governo, persino più allarmante delle eterne scosse telluriche nella maggioranza. La lista di questioni irrisolte e laceranti è lunga, ma in testa alla lista c’è, come al solito, il Mes. Emma Bonino si preparava a far scattare la trappola dopo l’intervento del premier di domani al Senato sul Consiglio europeo del 19 giugno: una mozione per costringere tutti a uscire allo scoperto e decidere subito sul Mes. Conte aveva però fiutato l’aria in anticipo e già venerdì scorso era stato stabilito che quella del premier sarà solo un’informativa che, a differenza delle «comunicazioni» non consente voti di sorta.

IL GOVERNO NON POTEVA fare altro, non avendo ancora trovato una mediazione con i 5S e non essendo ancora certo di poter far valere una richiesta del prestito da parte di altri Paesi che è probabile, ma non certa, e che farebbe in buona parte la differenza. Ma è la seconda volta che Conte svicola per evitare che il Parlamento si pronunci e domani il clima al Senato sarà bollente. Tra l’aula di palazzo Madama e il prevedibile bombardamento di Bonomi agli Stati generali non sarà una giornata facile.