Colori brillanti e un paio di occhiali – perché il cinema migliora la vista – sono il segno del 40mo Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano de L’Avana, che la presidenza di Iván Giroud caratterizza con una vocazione sempre più planetaria. Oltre 400 le opere presentate in numerosi cinema della città, alcuni di questi veri gioielli architettonici del movimento moderno, che nonostante la capienza non sempre sono in grado di soddisfare la passione per il cinema dei cubani e di quanti provengono dalle più diverse latitudini. Il festival, infatti, è ancora un appuntamento attesissimo che dalla sua fondazione, anche nei momenti di maggiore difficoltà del Paese, non si è mai fermato grazie alla tenacia e all’ entusiasmo dei suoi organizzatori e partecipanti.

I TEMI che caratterizzano la storia dell’America latina – colonialismo, battaglie per l’indipendenza, dittature militari, disuguaglianze sociali, violente ingerenze economiche, lotta per la sopravvivenza – sono al centro di molte delle opere presentate al Festival. Alcune, come il poetico El Pepe, una vida suprema di Emir Kusturica, dedicato al presidente dell’Uruguay José Mujica, (2010-2015) o La noche de 12 años di Álvaro Brechner che racconta la disumana prigionia a cui furono sottoposti i guerriglieri Tupamaros, tra in quali vi era lo stesso Mujica (entrambi i titoli sono stati presentati al Festival di Venezia), hanno ricevuto qui un’accoglienza particolarmente calorosa.

Kusturica, che molto deve al realismo magico e a Gabriel García Márquez, ha incontrato il pubblico dicendo di essere molto felice che per la cerimonia d’inaugurazione, al Teatro Karl Marx, il Festival aveva scelto il suo El Pepe. In questa occasione, è stato anche consegnato un premio al Sundance, tra i sostenitori del film, con un saluto video del suo fondatore, Robert Redford, in cui il regista e attore americanosottolineava l’importanza del cinema nel mantenimento di un dialogo tra Stati Uniti e Cuba.

MOLTE aspettative, ma non sempre entusiasmo, ha suscitato il Leone d’oro Roma di Alfonso Cuarón, mentre è stato accolto con grande entusiasmo Yuli di Icíar Bollaín. Il film è la biografia del danzatore Carlos Acosta, da quando era bambino fino ai successi col Royal Ballet di Londra, e deve il suo titolo al soprannome, derivato dalla santeria, datogli dal padre, suo grande sostenitore pure se non senza conflitti.

Si svolge a inizi Ottocento nella parte orientale dell’isola, a Baracoa, Insumisas dei cubani Fernando Pérez (Suite Habana), e Laura Cazador, la storia del medico svizzero Enrichetta Faber, che per sfuggire ai pregiudizi prende nome e sembianze mascoline fino ad intrecciare una relazione omosessuale. Una scelta che insieme a quella di proteggere gli schiavi fuggitivi (i Cimarrones) provoca una tragedia. Ai tempi della colonia, e sempre basato su fatti reali, è anche il commovente Inocencia di Alejandro Gil, ambientato nel 1871, che ricorda la drammatica uccisione di studenti della Facoltà di Medicina. Riporta invece all’attualità, e a fatti di cronaca, El camino de Santiago. Desaparición y muerte de Santiago Maldonado di Tristán Bauer, che ripercorre la vicenda di Santiago Maldonado, un ragazzo di 28 anni scomparso in Patagonia mentre partecipava alla lotta per le terre dei mapuche. Ferita aperta che attende ancora giustizia.

TRA LE SCOPERTE va segnalato Un traductor, opera prima dei fratelli cubani Rodrigo e Sebastián Barriuso, che è anche uno dei migliori film del Festival. Protagonista è un professore di lingua e letteratura russa dell’Università di L’Avana che, suo malgrado, è costretto ad abbandonare la docenza per fare da traduttore in un ospedale ai bambini contaminati a Chernobyl e ai loro genitori. L’uomo, inizialmente riluttante, viene piano piano assorbito dalla lotta per la sopravvivenza dei piccoli pazienti, fino a mettere in crisi la propria vita. Siamo nel 1989, l’inizio del «Periodo Speciale», il complicato rapporto con la moglie e il contatto con la sofferenza, sollevano nel professore molti dubbi. Centrato su un aspetto poco noto della realtà cubana, il film tocca temi come i conflitti tra vita familiare e impegni lavorativi, che superano le circostanze storiche.

Il Festival è stato dedicato a Tomás Gutiérrez Alea (Titón), e a Fernando Birri, con omaggi alla loro opera, mostre, seminari, proiezione dei loro film. Per Birri è stata presentata la lunga intervista fatta a Roma dallo svizzero Daniele Lucchini, che si è liberamente ispirato al racconto di Paolo Taggi. L’opera è intercalata dalla filmografia del cineasta argentino e da riprese in luoghi emblematici della sua vita, come la Escuela de San Antonio de los Baños. In una lettera a Lucchini, Birri, poco prima di morire, ha riconosciuto l’intervista come un suo testamento spirituale.

TITÓN, indimenticabile regista di Memorias del subdesarollo, è stato definito da Senel Paz l’artista e intellettuale più lucido della Cuba del XX secolo, guidato dal proposito di contrastare il cinema come macchina dei sogni, per convertirlo in un atto di riflessione e conoscenza: comprendere la realtà per trasformarla, senza rinunciare all’emozione e al piacere estetico. Caratteristiche queste che, seppure in modo non sempre omogeneo, si sono ritrovate nella maggior parte dei film del Festival.