Poche ore prima che il ministro Sérgio Moro venisse ascoltato mercoledì dalla Commissione Costituzione e giustizia del Senato sui «messaggi segreti della Lava Jato» pubblicati da The Intercept, una nuova rivelazione shock aveva già occupato il centro della scena politica. Il nuovo colpo al ruolo di arbitro imparziale, sempre rivendicato dall’ex giudice di prima istanza, è venuto stavolta da un suo scambio di messaggi con il procuratore Deltal Dallagnol a proposito di un servizio del telegiornale serale di Rede Globo del 12 aprile del 2017 sui sospetti di corruzione nei confronti dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso (detto Fhc).

Il giorno successivo, Moro manda un messaggio a Dallagnol chiedendogli se ci fosse, contro l’esponente socialdemocratico, «qualcosa di serio» e se il suo caso non dovesse già risultare prescritto. La prescrizione non è stata analizzata, gli risponde il procuratore, aggiungendo: «Suppongo di proposito. Forse per far passare un messaggio di imparzialità».

Accusata ripetutamente di voler risparmiare i politici del Psdb, il partito della socialdemocrazia brasiliana, era comprensibile che l’inchiesta Lava Jato si preoccupasse di salvare le apparenze. Per cui tirare in ballo – per finta – il leader socialdemocratico, nella certezza che il caso, ormai caduto in prescrizione, sarebbe stato archiviato, doveva sembrare un’ottima mossa alla task force a Curitiba. Moro, tuttavia, non gradisce: «Lo trovo discutibile – scrive – perché colpisce qualcuno il cui appoggio è importante».

Fin dall’inizio, ha commentato al riguardo Greenwald, definendo quest’ultima rivelazione come «la più grave» diffusa finora, «il fattore-chiave della legittimità della Lava Jato era la persecuzione di politici corrotti, indipendentemente dal partito o dall’ideologia. Ma qui Moro fa l’opposto: vuole che Fhc sia protetto perché lo considera un alleato. Questa è corruzione».

Molto prima dello scambio tra Moro e Dallagnol, non erano peraltro mancati i motivi per indagare l’ex presidente, chiamato in causa da Emílio Odebrecht, il presidente del consiglio amministrativo della multinazionale, e da altri tre imputati. Tant’è che il 17 novembre del 2015 – sulla base dei dati in possesso della polizia federale rispetto a versamenti mensili da parte della Odebrecht all’istituto di Fhc tra il 2011 e il 2012, per un totale di 975 mila reais – il pm Roberson Pozzobon aveva proposto, proprio in nome dell’imparzialità, un unico procedimento sulle donazioni dell’impresa tanto all’istituto di Lula quanto a quello di Fhc. Ma né questa né altre indagini sull’ex presidente socialdemocratico avevano avuto seguito. Come ha ironizzato il giornale satirico Sensacionalista, invertendo i termini della celebre frase di Dallagnol su Lula, nel caso di Fhc «la Lava Jato aveva prove, ma non aveva convinzione».

È su tutto questo che Moro ha dovuto rendere conto nella sua audizione al Senato. E malgrado il clima sorprendentemente poco ostile – neppure i senatori progressisti lo hanno incalzato come era lecito attendersi – la sua linea difensiva è apparsa comunque debole e contraddittoria. L’ex giudice di prima istanza ha denunciato il carattere sensazionalista delle rivelazioni di Intercept – proprio lui che sul sensazionalismo ha costruito la sua fama – e ha sfidato Glenn Greenwald e il suo team a consegnare il materiale alla polizia federale (da lui presieduta) per dimostrarne l’autenticità. Non senza una velata minaccia: «Ho avuto l’impressione che a loro farebbe piacere un mandato di cattura, per atteggiarsi a martiri».

Quanto ai contenuti delle rivelazioni – definite come il frutto di un’azione criminale da parte di hacker al fine di annullare precedenti condanne, impedire nuove indagini e attaccare le istituzioni – il ministro ha fatto leva sulla possibilità che i messaggi siano stati in toto o parzialmente adulterati e, al tempo stesso, ha negato insistentemente che rivelino un qualsiasi illecito o irregolarità (senza chiarire perché in tal caso dovrebbero essere stati falsificati). Se poi, ha detto, venissero riscontrate «irregolarità» sul suo conto, sarebbe pronto a lasciare l’incarico, ma «non sarà così», avendo lui sempre agito «in maniera imparziale».