Carlo Lania
Ormai c’è da chiedersi cosa è davvero rimasto di comune all’Unione europea. Il vertice dei capi di Stato e di governo di ieri a Bruxelles da questo punto di vista è stato emblematico, con i leader costretti a zig-zagare tra una trattativa per scongiurare il Brexit e i paesi del gruppo Visegrad sempre più determinati a fare di testa propria di fronte alla crisi dei migranti. E non solo loro. Significativo lo scontro che ha contrapposto il solito Jean Claude Juncker questa volta al premier austriaco Faymann. Due giorni fa l’Austria ha deciso di mettere un tetto all’ingresso dei profughi: non più di 80 al giorno potranno fare richiesta di asilo, mentre il passaggio sarà consentito al massimo a 3.200 persone ogni 24 ore e a patto che vogliano chiedere tutela internazionale a uno stato confinante. Il via libera, ovviamente, vale solo per iracheni, afghani e siriani.

Un numero chiuso autodeterminato che ha irritato il presidente della Commissione Ue che vede sempre più capitali prendere decisioni in autonomia. «Queste misure non mi piacciono», si è arrabbiato Juncker, mentre il commissario all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos ha definito il tetto «chiaramente incompatibile» con le regole europee. «L’Austria ha l’obbligo legale di accettare tutte le domande di asilo fatte sul suo territorio e alla frontiera», ha scritto Avramopoulos al ministro degli Interni austriaco Johanna Miki Leitner. La risposta non si è fatta attendere e non è stata certo conciliante. Faymann ha infatti confermato l’intenzione di mantenere il tetto perché, ha spiegato, «è impensabile che l’Austria accolga tutti i richiedenti asilo dell’Europa». Annunciando allo stesso tempo di essere pronto a schierare un esercito di legali per dirimere la questione sul mancato rispetto o meno del diritto europeo.
E dire che quello che si svolge tra ieri e oggi a Bruxelles è, salvo sorprese, un vertice di basso profilo, dove ogni parola è stata calibrata per non creare pericolosi scontri con l’intenzione di rimandare tutto al prossimo summit di marzo. Per capirlo basta leggere la bozza di documento finale che dovrebbe essere approvata oggi e nella quale si parla dell’importanza di dare seguito a ricollocamenti e a rimpatri. Tutte cose vecchie, chiacchiere trite e ritrite perché già approvate e subito accantonate da gran parte degli Stati membri. «Per noi il punto chiave è sempre lo stesso: bisogna applicare quanto è già stato deciso negli accordi per quanto riguarda la redistribuzione e gli altri punti», ha insistito Juncker insieme al presidente del parlamento europea Martin Schulz in una estrema difesa dell’Unione. ma a Bruxelles è impossibile parlare anche di una revisione del regolamento di Dublino. «Ha fallito, è sotto gli occhi di tutti», ha ricordato anche ieri Matteo Renzi, arrivato a Bruxelles deciso a rimettere finalmente mano alla regole che impongono al primo paese di arrivo di farsi carico del migrante. Gli è stato fatto notare che non era il caso di insistere. Toccare Dublino significherebbe applicare una nova distribuzione dei migranti a livello europeo e per ora non se ne parla.
Del resto basta solo guardarsi intorno. L’Ungheria ha ribadito di non accettare quote obbligatorie di profughi.

Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria hanno varato un proprio sistema di controllo dei migranti alla frontiera con la Grecia in modo da respingere subito chi no ha diritto di asilo. Sempre la Slovenia ha presentato al parlamento un a proposta per concedere «limitati poteri di polizia» ai militari da impiegare alla frontiera, mentre insieme alla Serbia si è detta pronta ad mettere un tetto agli ingressi dei profughi, come ha fatto l’Austria. Il parlamento bulgaro, infine, ha autorizzato il dispiegamento dell’esercito alla frontiera con la Turchia per paura di arrivi in massa di profughi.
Tutto questo mentre la Grecia rischia sempre di restare tagliata fuori dal resto dell’Europa, con tutti i paesi balcanici d’accordo nel voler chiudere la frontiera tra Grecia e Macedonia. Juncker tenta come può di salvare Atene da quella che sarebbe una catastrofe economica oltre che politica ricordando come si sia adoperata per fare i compiti che le erano stati assegnati: varati quattro hotspot su cinque e (quasi) prossima apertura di due centri di accoglienza. Bisognerà vedere si basteranno ai falchi europei.