Un anno e 5 mesi dopo la strage di Corato la procura di Trani ha terminato le indagini sullo schianto che uccise 23 persone e ne ferì 51 sul binario unico in mezzo alla campagna pugliese. Gli indagati sono 18 per reati che vanno dal disastro ferroviario alla violazione delle norme sulla sicurezza.

Il quadro ricostruito dal procuratore di Trani Antonino Di Maio e dai sostituti Michele Ruggiero, Alessandro Donato Pesce e Marcello Catalano è tremendo. Da una parte l’errore umano dei capitreno e dei capistazione che fecero correre uno contro l’altro i due convogli sul binario unico tra Corato e Trani. Dall’altro, secondo l’accusa, le responsabilità dell’azienda (che avrebbe risparmiato sui sistemi di sicurezza) e del ministero delle Infrastrutture (che non avrebbe controllato né adottato provvedimenti per garantire il rispetto dei livelli minimi di sicurezza sulla tratta).

La linea Bari-Barletta (ferrovie Nord Barese), gestita dalla società privata Ferrotramviaria è a doppio binario solo nel tratto Fesca San Girolamo-Ruvo mentre è ancora a binario unico nei 33 chilometri restanti, tra cui il tratto Corato-Andria.

Qui ancora vige il sistema di sicurezza più antico: il sistema di blocco treno. In pratica il capostazione dà il via libera per telefono al treno per partire. Un sistema antidiluviano rimasto solo in pochissime tratte in Italia e nessuna con una frequenza e capacità di treni e pendolari come la Bari-Barletta.

Tra gli indagati, oltre ai due capostazione, al capotreno e a dieci fra dirigenti e funzionari di Ferrotramviaria, c’è anche il direttore generale del ministero delle Infrastrutture, Virginio Di Giambattista, accusato in concorso con un’altra dirigente, Elena Molinaro, di non aver «compiuto verifiche periodiche» e di non avere adottato «provvedimenti urgenti» per imporre sistemi tecnologici adeguati.

Una relazione ministeriale di inchiesta su un incidente simile in Sardegna (sulla linea Macomer-Nuoro) nel giugno 2007 non è stata tenuta in considerazione.

Agli allora dirigenti di Ferrotramviaria, gli amministratori delegati Enrico Maria Pasquini e sua sorella Gloria Pasquini, il direttore generale Massimo Nitti e il direttore di esercizio Michele Ronchi, la Procura di Trani contesta di aver «attuato una strategia aziendale finalizzata ad accrescere gli utili» attraverso «il progressivo indirizzamento di finanziamenti inizialmente destinati» alla sicurezza».

La società avrebbe infatti risparmiato almeno 664mila euro sui lavori per l’installazione su quella tratta del «blocco conta assi» e della «fibra ottica». Uscita indenne dalle tante polemiche dei giorni seguenti alla strage: i ritardi nei lavori di raddoppio della ferrovia – finanziati già nel 2008 dalla giunta Vendola – non sono evidentemente stati considerati rilevanti dai magistrati.

La ricostruzione della procura su cosa accadde il 12 luglio 2016 è molto accurata. Dalla stazione di Andria, infatti, fu dato l’ok alla partenza del treno («il rotabile ET1021 alle 10.45») senza aspettare l’arrivo del convoglio proveniente da Corato («il rotabile ET1016, che invece arrivò ad Andria alle 10.58»), la cui partenza, però, non era stata neppure comunicata dalla stazione di Corato.

Per queste condotte sono indagati i dirigenti di movimento di Andria e Corato, Vito Piccareta e Alessio Porcelli, il dirigente coordinatore centrale Francesco Pistolato e il capotreno Nicola Lorizzo, che viaggiava sul convoglio partito da Andria (il collega che era a bordo del treno da Corato è tra le vittime).

Ai due capostazione si contesta anche di aver falsificato i registri contenenti le annotazioni sui «via libera» per la partenza dei treni.

Il capotreno Nicola Lorizzo in servizio sull’ET1021 «non si assicurava della presenza del rotabile incrociante ET1016 presso la stazione di Andria» prima di partire alla volta di Corato. Dove il treno non arriverà mai.