Alcuni la definiscono già la Bolsonaro spagnola. Isabel Díaz Ayuso, la presidenta della comunità autonoma che ospita la capitale del regno, è sotto accusa per la gestione della crisi sanitaria che, per usare un eufemismo, è risultata quanto meno ondivaga. Mentre la direttrice del dipartimento di salute pubblica e ambiente della Oms, María Neira, senza dirlo esplicitamente, fa capire in un’intervista di essere sconcertata da quanto sta accadendo a Madrid.

LA REGIONE ATTORNO alla capitale spagnola registra già più di un terzo dei casi di tutta la Spagna, con una incidenza media nella regione dei casi positivi registrati negli ultimi 14 giorni di circa 750 casi ogni centomila abitanti: una cifra elevatissima, quando gli organismi internazionali indicano che già quando si superano i 250 dovrebbe scattare l’allarme rosso. In tutto il paese si viaggia ormai su una media di più di 7.500 casi al giorno (nell’ultima settimana), mentre solo ieri sono stati registrati 113 decessi (547 nell’ultima settimana).

Ma il governo di coalizione fra Pp e Ciudadanos che guida Ayuso ha dapprima titubato a prendere misure di contenimento, appellandosi alla falsa dicotomia fra tutela della salute e tutela dell’economia; poi ha deciso, controvoglia, di confinare solo alcuni quartieri, guardacaso quelli più poveri.

Lunedì scorso poi ha messo in scena una specie di tregua con il governo centrale (che da settimane chiede misure più energiche), fra mille bandiere spagnole, per poi arrivare a negoziare mercoledì misure di contenimento leggermente più stringenti, a patto che valessero per tutto il paese, ma poi quando ieri si è resa conto che le uniche città che superavano i criteri indicati dal governo (città di più di 100mila abitanti, incidenza superiore ai 500 casi ogni centomila abitanti nelle ultime 2 settimane, una percentuale di casi positivi maggiore del 10% nei tamponi effettuati e un’occupazione delle unità intensive maggiore del 35%) erano Madrid e altre località della regione, si è opposta alle misure che nel frattempo il governo aveva approvato con l’appoggio della maggior parte delle altre regioni. Un caos senza limiti.

LE MISURE SONO comunque entrate in vigore ieri sera, ma Ayuso ha presentato un ricorso che rischia di bloccare tutto, col risultato che non è chiaro cosa devono fare i cittadini. Oltretutto, si tratta di misure che gli epidemiologi considerano ancora troppo caute: chiusura anticipata di negozi, ristoranti e bar (ma comunque sempre tra le 22 e le 23), limite del 50% (all’interno) e 60% (all’esterno) di occupazione per ristoranti e palestre, limitazione dei movimenti (ma comunque con un elenco di eccezioni in cui praticamente entra tutto tranne le feste), riunione di massimo sei persone (ma a scuola non si applica), un terzo di occupazione nelle chiese, 15 persone, fuori, o 10 persone, dentro, per funerali.

La sensazione è che il Partito popolare utilizzi la pandemia per cercare di indebolire il governo: ma non è chiaro se questa sia una strategia vincente, anche perché il leader del Pp Pablo Casado, che vantava la Comunità di Madrid come un modello di gestione per tutta la Spagna, è stato lasciato solo persino dai colleghi di partito presidenti di altre comunità: uno addirittura si è rifiutato di votare contro il provvedimento proposto dal ministero della Salute e contro cui Ayuso ha fatto ricorso, e gli altri, che l’hanno seguita nel No al ministro della Salute Salvador Illa, non hanno però voluto unirsi al ricorso. Mentre l’assessore alla sanità di Madrid (del Pp) dichiarava ai media di star facendo un grande lavoro (ma Madrid è la zona in Europa dove la situazione è più fuori controllo), gli alleati di Ciudadanos dicevano senza peli sulla lingua che il ricorso era un errore e una perdita di tempo.