Volano gli stracci. L’effetto deflagrante della sentenza della Consulta non si è fatta attendere. Alfano, numero due del governo, non solo non torna indietro dal diktat personalmente annunciato a Enrico Letta venerdì, ma lo ufficializza con un intervento telefonico alla Festa del Lavoro di Fiuggi: «Il destino dl governo è legato al programma: se non è realizzato il governo non va avanti. Dobbiamo intervenire sulle tasse e detassare le nuove assunzioni. Sono questioni fondamentali: a partire dall’Iva». Alfano sarà pure una colomba, ma la linea è quella della rapace Santanchè.

Le risposte del centrosinistra arrivano a mucchi, ma sono tese ad aggirare l’ostacolo più che ad affrontarlo, dal viceministro Fassina che giura «nessuno vuole aumentare le tasse» e il Pdl «vuole scaricare sull’esecutivo le tensioni giudiziarie di Berlusconi» al ministro Dario Franceschini che un po’ la butta sull’ironico, «il vicepremier lancia diktat a se stesso», un po’ fa capire che la soluzione è lontana: «Ogni giorno esponenti di maggioranza minacciano la caduta dell’esecutivo se non vengono adottate determinate misure economiche, ovviamente senza che vengano indicate le necessarie coperture o la compatibilità con i vincoli europei».

Una replica chiara. Il semaforo verde del ministro dell’Economia Saccomanni non c’è e non ci sarà senza la copertura necessaria per cancellare l’aumento dell’Iva che scatta dal 1 luglio. Persino l’escamotage di Letta, che tanto per cambiare pensa a un bel rinvio, potrebbe incorrere nel niet del ministro.
Tutto questo naturalmente ha a che vedere eccome con la sentenza della Corte costituzionale e con le ulteriori tempeste giudiziarie in arrivo già a partire da domani, con la sentenza nel processo Ruby. Chi ha visto Berlusconi negli ultimi giorni assicura che il capo non ha ancora deciso niente, ma che il suo atteggiamento nei confronti del governo è profondamente cambiato. Fino a che c’era il miraggio della «pacificazione», ha spiegato il cavaliere ai suoi, valeva la pena di spendersi per questo governo anche a costo di ingoiare qualche rospo e di permettere ulteriori rinvii. Insomma, andava difeso quasi ad ogni costo. Le cose sono cambiate, perché la sentenza della Consulta ha messo la parola fine al progetto di “pacificazione” e a questo punto le sorti del governo dipendono solo dal suo adeguarsi all’agenda dettata dal Pdl.
Nemmeno le ipotesi di una possibile scappatoia legislativa trovano molto ascolto alle orecchie di re Silvio. I suoi consiglieri e legulei possono sperare davvero che il Pd si pieghi a varare una legge ad personam per salvare l’arcinemico momentaneamente alleato, ma il fondatore di Mediaset e di Forza Italia è troppo scafato per illudersi. Le sue speranze le aveva riposte in Giorgio Napolitano. Il verdetto della Consulta però lo ha convinto di aver puntato sulla carta sbagliata, anche se la consegna resta quella di evitare attacchi pubblici al capo dello stato. «Certo – ammette Augusto Minzolini, tre quarti giornalista e un quarto politico ma ormai intimo del Capo – da parte del garante dell’equilibrio tra poteri dello stato ci si aspettava un intervento in difesa di quegli equilibri, mentre la sentenza fa pendere la bilancia tutta a favore del potere togato, che può addirittura decidere quando è lecito convocare una riunione del governo». Più in là di così ufficialmente non si va. Perché la scelta di rompere, nonostante tutto, non è ancora stata presa.

No, Berlusconi ancora non ha deciso, ma se l’Iva verrà aumentata le possibilità di sopravvivenza del governo saranno vicinissime allo zero. E anche il rinvio potrebbe non bastare. «Quello che serve – prosegue Minzolini – è uno shock per l’economia. Un rinvio non restituirebbe fiducia, non darebbe la sensazione di un paese che ha cambiato marcia, al contrario aumenterebbe la sfiducia perché la gente penserebbe che l’Iva verrà aumentata tra un po’ e magari pure con qualche nuova tassa». E’ possibile che alla fine Berlusconi accetti ugualmente il rinvio, se Letta lo strapperà a Saccomanni. Ma anche così è difficile evitare la sensazione che per il governo Pd-Pdl il conto alla rovescia sia già partito.