L’incidente, per definizione, capita sempre quando e dove non ci se lo aspetta. Non si può dire che non ci si aspettassero guai nel rinnovo delle presidenze di commissione. Ma non di questa portata. Il fattaccio vero è proprio è stata la bocciatura di Grasso, ex presidente del Senato ed ex procuratore antimafia, alla presidenza della commissione Giustizia del Senato, dove è stato confermato il leghista Ostellari.

Anche in commissione Agricoltura la Lega ha mantenuto la presidenza Vallardi contro il 5S Lorefice mentre alla Camera il renziano Vitiello si è dimesso per evitare guai grossi dopo essere stato eletto con i voti della destra. Dimissioni provvidenziali che hanno però provocato una nuova tempesta, con l’opposizione che denuncia «le pressioni» per spingere il dimissionario al generoso passo e chiede di ripetere il voto. Il presidente Fico si è preso un po’ di tempo per decidere.

IL GUAIO GROSSO però è la cancellazione dell’unica presidenza assegnata a LeU che ha reagito disertando ieri i vertici di maggioranza dopo che, nella notte, il ministro Speranza aveva abbandonato per protesta il cdm. Ieri circolavano bizzarre ipotesi di «risarcimento», magari con una commissione ad hoc sull’emergenza sanitaria assegnata a un esponente di LeU.

La capogruppo De Petris, presidente del gruppo Misto che per la tenuta della maggioranza a palazzo Madama è decisivo, ha bloccato la giostra andando giù durissima: «Non abbiamo bisogno di strapuntini. Piuttosto abroghino i dl Sicurezza e ritirino il dl Semplificazioni». I problemi si porranno non subito ma in futuro, perché la coltellata alle spalle è stata presa da LeU come il segno che nella maggioranza la componente di sinistra è vissuta con fastidio.

Non si tratta certo di un buon viatico per il percorso a ostacoli che aspetta il governo a palazzo Madama nei prossimi mesi, a partire proprio da un dl Semplificazioni che in realtà è contestatissimo nella maggioranza e non dalla sola LeU.

IL TERREMOTO più squassante però è tra i 5S. Il capogruppo in commissione Bilancio alla Camera Donno si è dimesso con una lettera di fuoco ai vertici del gruppo: «Avete esercitato la funzione di capo in maniera egregia, creando spaccature enormi nel gruppo». Un altro deputato 5S, Tripiedi, lo segue a ruota abbandonando la commissione Lavoro. Intanto parte una raccolta di firme contro il direttivo della Camera ma di fatto contro il reggente Crimi: «Ne abbiamo già raggiunte 30», informavano le solite «voci dal Movimento» poche ore dopo l’inizio della raccolta. Crimi traballa. Ancora più dei pur molto bersagliati capigruppo Crippa e Perilli. Ieri circolavano ipotesi vertiginose, in particolare quella di un direttorio che dovrebbe «commissariare» il reggente. Nemmeno in un gioco di scatole cinesi.

Le commissioni sono solo la miccia, pur se imbevuta nella benzina di una goffa gestione autoritaria che ha cercato di mettere la museruola al dissenso sostituendo d’autorità i parlamentari ribelli nelle commissioni e violando il dettato del voto segreto col rendere riconoscibili le schede, col solo risultato di spingere qualche 5S a votare per i leghisti nelle commissioni perse dalla maggioranza al Senato.

MA IL VERO ESPLOSIVO è tutto nel nodo irrisolto del rapporto con il Pd. I «governisti», forti dell’appoggio di Grillo, si sono affidati a una strategia basata da un lato sul non scegliere apertamente, con il rinvio degli Stati generali che dovrebbero alla fine tenersi il 4 ottobre ma chissà, e dall’altro praticando l’obiettivo, sia nei territori, dove l’avvicinamento tra il Movimento nei confronti dell’un tempo odiato Pd è continuo, progressivo e veloce, sia al centro. L’accordo con il Pd sulle commissioni fa parte e si spiega all’interno di quella strategia. L’ambiguità non potrà però durare in eterno e probabilmente, prima che negli Stati generali, lo showdown arriverà quando sarà impossibile evitare la scelta sul Mes.