In questi giorni il tema delle banche è all’ordine del giorno su almeno due fronti. Da una parte, quelle italiane, come anche di altri paesi, continuano a ridurre i prestiti. Dall’altra, sono in corso le discussioni a livello di Unione europea su come avanzare sul fronte dell’unione bancaria. Due aspetti almeno in parte connessi.

Cominciamo dal primo. Sono anni che il sistema bancario riduce i finanziamenti all’economia. Dietro il fenomeno ci sono molte ragioni. Intanto gli istituti sono spaventati dal fatto che i crediti in sofferenza continuano ad aumentare e, secondo una fonte, oggi il 30% dei clienti italiani non è in grado di pagare gli interessi sui prestiti ricevuti.

D’altro canto, ci sono timori che i bilanci non dicano tutta la verità. Negli ultimi tempi le ispezioni della Banca d’Italia hanno portato a scoprire che diverse banche, anche di taglia media e medio-piccola, invece di prestare i soldi alle imprese sane del loro territorio li affidavano agli speculatori immobiliari di provincie anche molto lontane dalla propria. Oggi, così, almeno dodici istituti sono commissariati dall’Istituto Centrale. Ma questa è solo la faccia strettamente nazionale della questione. Poi ci sono le vicende europee che vi si sovrappongono.

Come è noto, l’Unione Bancaria dovrebbe consistere di tre elementi base: un meccanismo di supervisione del sistema, affidato alla Bce, un insieme di regole per affrontare le crisi, una politica di garanzia comune per i depositanti. Gli obiettivi sarebbero quelli di separare le vicende delle banche da quelle dei singoli stati, di assicurare un più forte sostegno al sistema finanziario e di fornire una maggiore garanzia agli investitori.

Ma tale costruzione sta andando avanti piuttosto male.

Sul primo punto citato, la Germania ha ottenuto che siano escluse dal sistema di sorveglianza le banche piccole e medie e quindi le proprie sparkasse, che vedono tra l’altro un intreccio perverso tra affari e politica. Ma spesso le crisi finanziarie hanno origine proprio dalle banche piccole e medie.

In ogni caso, la Bce ha iniziato l’analisi dei bilanci delle grandi banche e naturalmente alla fine del processo molte di esse dovranno essere ricapitalizzate. Quelle italiane, come quelle di altri paesi, non potendo o, di frequente, non volendo aumentare il capitale, tendono anche per questa ragione già oggi a ridurre i prestiti al sistema produttivo.

Sulla seconda questione i problemi sono di nuovo legati al veto della Germania rispetto alla mutualizzazione dei rischi. Tutto quello che su questo fronte si è ottenuto è la creazione di un fondo di garanzia con i soldi delle stesse banche, fondo che dovrebbe raggiungere in dieci anni la consistenza di 55 miliardi di euro. Ma si tratta di una somma ridicola se si pensa che, secondo alcune stime, le necessità di ricapitalizzazione del sistema oscillerebbero tra 1,0 e 2,6 trilioni. Invece, si è deciso che, in caso di crisi bancaria, prima di tutto pagano gli azionisti e gli obbligazionisti delle stesse banche. Ma questo significa che sarà molto difficile, in particolare per quelle del Sud Europa, raccogliere nuovo capitale e far sottoscrivere ai risparmiatori nuove obbligazioni. Anche da questo punto di vista quindi gli istituti ridurranno i prestiti.

Infine di copertura europea dei depositi per il momento non si parla, sempre in particolare per volontà della Germania.

Siamo in un impasse.

Tra le proposte che potrebbero aiutare a ridurre le difficoltà per il mondo produttivo a reperire le risorse di cui avrebbe bisogno c’è quella che la banca centrale presti direttamente denaro al sistema delle imprese, attraverso meccanismi articolati. Ma di nuovo la Germania non vuole. Inoltre, nel nostro paese si dovrebbe cercare di estendere il sistema di garanzie pubblico a favore dei prestiti bancari, e/o nazionalizzare qualche istituto.