La corsa per approvare la revisione costituzionale e la nuova legge elettorale prima dell’inizio delle votazioni per il Quirinale – dunque nei prossimi dieci giorni – ha molto di strano. Se ne capisce l’interesse di Renzi, l’ansia di arrivare al passaggio decisivo della legislatura in condizione di massima forza. Ma in effetti la corsa non è ancora partita. Dopo una settimana e mezzo di lavori parlamentari la situazione è questa: al senato non si è ancora votato un solo emendamento all’Italicum 2, neanche i quattro della maggioranza che recepiscono l’ultima versione dell’accordo del Nazareno. Ci sono ancora 44mila proposte di modifica firmate dalle opposizioni (quasi tutte dalla Lega). Alla camera sono stati votati – e respinti – poco più della metà degli emendamenti al solo articolo 1, su 41 articoli che compongono il disegno di legge di revisione costituzionale. Ieri, malgrado la seduta fiume, ci sono state appena una decina di votazioni. E un solo emendamento, marginale, è stato approvato.
Dunque non si corre, o si corre sul posto. L’ostruzionismo sta vincendo? Purtroppo no.

I tempi destinati all’esame delle due leggi, per quanto si tratti di leggi fondamentali, sono rigidamente contingentati, e scadranno la prossima settimana. Alla camera c’è già una data di chiusura obbligata – tra sette giorni da oggi – al senato è meno vincolante, ma contro la valanga di emendamenti sarà molto semplice far scattare la tecnica del «canguro» già sperimentata contro la riforma costituzionale. In questo modo con un voto si potranno bruciare in un colpo solo interi fascicoli del lavoro di Calderoli, fascicoli che gli uffici di palazzo Madama stanno faticosamente componendo. Anzi, proprio perché tutta questa (inutile) carta ieri pomeriggio non era ancora disponibile, la seduta è stata chiusa in anticipo. Non si poteva votare, e nessuno dei senatori ha ritenuto opportuno illustrare le sue proposte di correzione dell’Italicum, eccezion fatta per i rappresentanti di Sel e per la presidente della prima commissione Finocchiaro che ha «tradotto» il verbo del Nazareno. Nessun intervento neanche dalla trentina di senatori della minoranza Pd che hanno firmato l’emendamento per le preferenze, quello che preoccupa Renzi perché i voti dei «dissidenti» potrebbero incrociarsi con quelli dei frondisti di Forza Italia e del Nuovo centrodestra. Ieri il presidente del Consiglio ha incontrato il senatore Pd Chiti, punta di lancia della critica interna all’Italicum. La trattativa c’è. Una possibile mediazione l’ha anticipata nel suo intervento in aula l’alfaniano Quagliariello, ma è assai complicata. Propone di alzare ancora le pluricandidature: attualmente i capilista possono presentarsi in dieci collegi diversi, e non devono raccogliere le preferenze. Facciamo quindici, dice Quagliariello (le pluricandidature sono un pallino del Ncd). Però, aggiunge, la scelta del collegio nel quale farsi eleggere, l’opzione che arriva dopo le elezioni, affidiamola agli elettori e non al candidato diretto interessato. Sarà eletto, cioè, nel collegio dove la sua lista avrà raccolto il numero più basso di voti di preferenza, segno che gli elettori preferiscono il capolista. La proposta non viene incontro alle critiche dei bersaniani del Pd (le pluricandidature non possono essere obbligatorie), e soprattutto la minoranza vuole che Renzi tratti con loro così come ha fatto con Verdini e Alfano. L’incontro con Chiti è un primo passo.

Alla camera invece la proposta di interrompere l’esame del ddl di revisione costituzionale è stata ancora una volta bocciata. All’opposizione è rimasta l’ultima possibilità, prima che la prossima settimana precipiti in una maratona perdente. Con un cambio di strategia grillini, vendoliani e leghisti hanno smesso di criticare la presidente Boldrini, puntando non più allo stop ma almeno a lunghe interruzioni. In prima fila anche Brunetta, simbolo di una Forza Italia spaccata a metà ancora di più dopo il fallimento del faccia a faccia tra Berlusconi e Fitto. Tutti i gruppi di opposizione chiedono, da lunedì prossimo, di avere il pomeriggio a disposizione per riunioni di riflessione dedicate alla scelta del nuovo presidente della Repubblica. Boldrini deve decidere se accettare questo dimezzamento delle giornate di lavoro. Una cosa è certa, quando le due riforme si comincerà a discutere nel merito, di tempo non ce ne sarà più.