La data di oggi era cerchiata in rosso sin da prima che il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles inziasse davvero. Era considerato sin da allora il giorno della verità, quello in cui la commissione avrebbe detto l’ultima parola sulla legge di bilancio italiana. Non sarà proprio così, perché nessuno vuole bruciare l’ultimo ponte. Anche se, come è quasi certo, la commissione proporrà oggi, nel quadro del giudizio complessivo sulle varie leggi di bilancio, l’avvio di una procedura d’infrazione contro l’Italia ci saranno ancora due mesi di tempo per provare a trattare, prima che il 22 gennaio l’Ecofin emetta una sentenza definitiva. Tria tenterà sino all’ultimo di convincere l’Europa a non calcare troppo la mano.

L’ITALIA NON ARRIVA alla fatidica data nella peggior situazione immaginabile ma quasi sì. Due delle principali minacce sono state evitate: quella del downgrade da parte sia di Moody’s che di S&P, essendo arrivato solo il primo, e quella di un’impennata selvaggia dello spread che avrebbe messo immediatamente in ginocchio il sistema bancario italiano. Le buone notizia però si sono fermate qui. La lista di quelle negative invece è lunga. La peggiore, forse, è che ieri, per il secondo giorno consecutivo, è andata male l’asta dei Bpt Italia, quelli che maggiormente indicano il tasso di fiducia dei piccoli investitori. È molto basso ed è difficile immaginare che la situazione si presenti più rosea quando domani la parola passerà agli investitori istituzionali. Lo spread è rimasto ieri stabilmente sopra 320 punti ed è arrivato anzi a sfondare i 330, per poi ripiegare da 335 a 326. Il ministro Tria si confessa «preoccupato». Di Maio, più ottimista, è convinto che il differenziale scenderà dopo la decisione della Ue. Giorgetti chiede di intervenire vietando le vendite allo scoperto.

LE PAROLE DA ALLARME rosso però le pronuncia Danièle Nouy, presidente del Supervisory Board Bce. «Non credo che lo spread abbia raggiunto sinora un livello di preoccupazione per le banche ma non sappiamo cosa porterà il futuro». Poi l’affondo: «Le banche italiane hanno fatto tanto per ripulire i propri bilanci. Sarebbe molto triste se finissero per subire le conseguenze del dibattito politico. Ma a volte succede. I problemi con le banche greche sono iniziati proprio così. Teniamo le dita intrecciate». Inutile sottolineare che l’accenno alla Grecia è tutt’altro che casuale e del resto il ministro degli Esteri spagnolo esorta la Ue a «non trattare l’Italia come la Grecia».

L’Italia, insomma, arriva all’appuntamento con il verdetto di Bruxelles sotto attacco su due fronti distinti e intrecciati: quello dello spread e delle sue possibili ricadute sul sistema bancario e quello di una sentenza dell’Ecofin, in gennaio, difficilmente prevedibile quanto a pesantezza. Quasi certamente verrà chiesta una massiccia manovra correttiva. Ma che l’Italia accetti di varare una manovra-bis che smantellerebbe la legge di bilancio è poco probabile. In assenza di precedenti non è facile immaginare quale sarebbe in questo caso la reazione europea. La classica «multa» dello 0,2% del Pil sarebbe poca cosa per uno scontro arrivato a questo livello. Il blocco dei Fondi strutturali sarebbe in compenso troppo: un passo senza ritorno. Il varo del bilancio Ue proposto da Germania e Francia offrirebbe un’arma, con l’esclusione dell’Italia dai Fondi per lo sviluppo in quanto «non in regola con gli obblighi». Ma che quel progetto passi in tempo utile, nonostante l’opposizione dei Paesi della Lega anseatica, non è facile. La sanzione che alla fine la Ue deciderà eventualmente di comminare è in realtà un’incognita.

IN QUESTA SITUAZIONE, inevitabilmente, si moltiplicano voci su una destabilizzazione del quadro politico italiano. Impossibile dire quanto ci sia di vero nei boatos che parlano di una telefonata di Draghi in persona a Salvini, della tentazione dello stesso Salvini di giocare la carta delle elezioni subito dopo la legge di bilancio, della ferma e già notificata intenzione di Mattarella di non sciogliere le camere comunque. Ma di certo, quando voci del genere rimbalzano da un angolo all’altro del Palazzo, il segnale di stabilità franante è inequivoco.