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Scontro decisivo: contro Assad il sostegno turco all’opposizione

Scontro decisivo: contro Assad il sostegno turco all’opposizioneSiria, manovre militari dell'esercito

Siria La Lega araba invoca aiuti militari alle milizie

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 28 marzo 2014

La Lega araba ha concluso mercoledì il suo vertice in Kuwait dedicato in buona parte alla guerra civile siriana, appellandosi da un lato all’intervento del Consiglio di Sicurezza per fermare il conflitto e dall’altro invocando, per bocca del principe ereditario saudita Salman, l’invio di rifornimenti di armi alle milizie – siriane e jihadiste straniere – «per alterare la situazione sul campo» che, nell’ultimo anno, ha visto le forze governative recuperare il controllo di una parte del terreno perduto tra il 2011 e il 2012. Dopo aver subito sconfitte devastanti a Qusair (nel 2013) e a Yabroud, pochi giorni fa, e la perdita del controllo della frontiera con il Libano – da dove arrivavano integralisti sunniti e armi – l’opposizione ha lanciato venerdì scorso un’offensiva a Kasab, un valico sulla frontiera tra Siria e Libano, che ha colto di sorpresa l’Esercito siriano proprio nella provincia di Latakiya roccaforte degli alawiti e della famiglia Assad.

È in corso una battaglia feroce, di grande importanza per le milizie del Fronte al Nusra (ala siriana di al Qaeda) e dell’Esercito libero siriano (il braccio armato della Coalizione Nazionale dell’opposizione). Tra i caduti ci sono anche tre parenti del presidente Bashar Assad, tra cui il cugino, Hilal al Assad, capo della Difesa Civile, la forza paramilitare a sostegno delle forze armate governative. Obiettivo dell’offensiva è quello di creare una testa di ponte in una zona strategica, in grado di dare all’opposizione un passaggio sicuro per i rifornimenti di armi ed equipaggiamenti, e di compensare la perdita del controllo della frontiera tra Libano e Siria.

Essenziale in questa fase è il sostegno di Ankara che ha fatto capire le sue intenzioni qualche giorno fa abbattendo un Mig siriano. Il premier turco Erdogan, anche per ragioni elettorali, ha deciso di intervenire nel conflitto, per ora con un forte appoggio dalle retrovie, perchè ha compreso che Assad non è così debole e isolato come credeva sino ad un anno fa. E lo ha fatto rompendo l’accordo non dichiarato di non trasformare la Turchia in una base di lancio base per l’opposizione sirian armata.

Assad ha avuto il torto di sottovalutare le mosse di uno dei suoi più accaniti nemici. Al Nusra e l’Esl stanno facendo progressi e hanno costretto l’Esercito governativo ad inviare a Kasab truppe fresche e ben addestrate per respingere l’assalto. È questo il secondo obiettivo dell’offensiva: obbligare Damasco a concentrare parte delle sue forze nella provincia di Latakiya.

Così l’Esercito governativo avrà meno uomini da impiegare nel sud del Paese dove al Nusra, l’Esl e una cinquantina di gruppi islamisti si sono uniti in una nuova alleanza militare e, grazie alle armi e munizioni (pagate dai sauditi) che entrano dalla Giordania, sono pronti a lanciare un attacco verso Damasco, che dista meno di 100 chilometri. Hanno già preso il controllo di Quneitra e di altre località nelle alture del Golan occupate da Israele.

Non è noto se alla battaglia di Kasab stiano partecipando, dalla parte di Damasco, anche combattenti sciiti di Hezbollah e dalla brigata Abbas, che hanno giocato un ruolo importante nelle battaglie di Quseir e Yabroud e per il controllo del monte Qalamoun. È prevedibile un loro impiego se le cose peggiorano: ora servono a sud e alla frontiera libanese.

L’opposizione e suoi numerosi sponsor regionali e occidentali puntano a sfiancare l’Esercito governativo che ha retto all’urto delle forze ribelli ma ha perduto sino ad oggi 30 mila soldati (altre migliaia sono rimasti feriti gravemente). Perdite che l’Esercito pensa di colmare con la leva di 20mila giovani (ancora nelle scuole) nei prossimi tre anni. Un costo sociale enorme per una popolazione sfinita da tre anni di combattimenti, attentati jihadisti, stragi a sfondo religioso, bombardamenti.

Un bagno di sangue che ha fatto oltre 140mila morti e costretto milioni di siriani ad abbandonare le loro case. Senza dimenticare l’economia ferma e l’inflazione alle stelle. Su questa fragilità di Damasco giocano Usa e l’Arabia saudita – a breve un summit tra Obama e re Abdallah – per far crollare Bashar Assad destinato ad essere sempre più dipendente dall’aiuto economico e militare dell’Iran e della Russia.

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