Mattarella ci riprova: di appelli di questo tipo nei prossimi mesi se ne sentiranno parecchi. Stavolta l’occasione è offerta dal ricevimento di 29 giovani «Alfieri della Repubblica», distintisi per l’impegno sociale. Il capo dello Stato parla a loro ma sembra proprio guardare ai partiti quando ricorda che «le sorti dell’Italia sono comuni», quando esorta a superare «gli egoismi», quando segnala che «siamo tutti responsabili del futuro». Anche se l’ufficio stampa del Colle precisa: non si riferiva alla situazione politica.

Per il momento le parole del capo dello Stato sembrano destinate a cadere nel vuoto. La situazione si fa di giorno in giorno più aggrovigliata e le tensioni esplose ieri nella destra la rendono quasi irresolubile. Oggi a Roma Salvini, Berlusconi e Meloni si dovrebbero vedere per un vertice tenuto non a caso segretissimo. Proveranno a trovare la quadra tra esigenze e strategie opposte. Berlusconi mira a un governo della sua coalizione appoggiato dal Pd, o almeno al quale il Pd permetta di prendere il largo. Lo dice chiaramente, intervistato dalla Stampa: «Il centrodestra ha il diritto e soprattutto il dovere di guidare il Paese ma nessuno può pensare di non farsi carico della necessità che il Paese sia governato». L’allusione al Pd non potrebbe essere più chiara e il leader azzurro boccia anche l’eventualità di una legge elettorale maggioritaria per tornare alle urne e sbloccare la situazione: «Non considero migliore una legge che consegni il governo a una minoranza».

Come leader Berlusconi non può spingersi oltre, non può fare offerte esplicite. Ci pensa Brunetta e senza giri di parole: «Il centrodestra potrebbe anche decidere di dare la presidenza di una camera al Pd, nell’ottica di un eventuale appoggio esterno. La presidenza deve essere data a chi si fa carico della governabilità del Paese». Persino «l’incubatore della nuova maggioranza» per Brunetta è già pronto: il Def che dovrà essere approvato entro il 10 aprile. Salvini capisce l’antifona e non perde un secondo prima di sbarrare la strada. «Gli italiani non ci hanno votato per riportare al governo Renzi e non credo che chi ha scelto la Lega voglia Gentiloni».

Atteso e previsto il braccio di ferro nella destra è cominciato. A meno che il vertice di oggi non riesca ad appianare un dissidio che in realtà è di fondo, proseguirà a lungo e arriverà a un primo momento della verità il 23 marzo, con l’elezione dei presidenti delle camere. Domenica Salvini aveva proposto apertamente una spartizione tra i vincitori: la sua Lega e il Movimento 5 Stelle. Berlusconi la pensa diversamente. Vuol fare di Paolo Romani il secondo cittadino dello Stato. Non dispera di assegnare la guida di Montecitorio a un esponente del Pd, per cementare un accordo che costerebbe la premiership proprio a Salvini.

Tutto può essere, però l’idea di tagliare fuori dalla presidenza delle camere proprio i partiti usciti vincitori dalle urne non suona molto realistica. Lo diventerebbe già di più considerando una divisione delle cariche tra M5S e Fi per il centrodestra. Che la presidenza del Senato venga assegnata a un leghista è poco credibile. E’ vero che nessuno a palazzo Madama è capace di dirigere l’aula come Calderoli ma è anche vero che è la seconda carica dello stato a esercitare le funzioni del presidente della repubblica in caso di impedimento temporaneo. La scelta di Romani risolverebbe il problema e la strada per un accordo di maggioranza con il Pd resterebbe comunque aperta, pur se non spalancata.

Però anche il miraggio di lasciare il Carroccio a bocca asciutta negandogli prima la presidenza di una camera e poi del governo non risulta troppo praticabile. «E i leghisti che fanno? Portano il caffè?», commenta scettica una dirigente azzurra. Il progetto della divisione delle presidenze tra i vincitori è almeno sulla carta decisamente più praticabile. In quel caso, probabilmente, M5S prenderebbe il Senato con Crimi e al leghista «istituzionale» Giorgetti spetterebbe Montecitorio.
Comunque vada a finire la partita del 23 marzo Arcore continuerà a puntare su un accordo col Nazareno. Un progetto il cui punto debole, a prescindere da Salvini premier, è però evidente. Per il Pd sostenere a lungo un governo in cui la Lega pretenderebbe i ministeri chiave sarebbe impossibile.